Parte da Mazara del Vallo e arrivava in Romania la catena di fiancheggiatori di cui si avvale Vito Bigione durante la sua latitanza.
Il narcotrafficante mazarese, legato a Cosa Nostra e alla ‘Ndrangheta, si dà alla macchia nel luglio 2018, poco prima della conferma della condanna a 15 anni di carcere per traffico internazionale di stupefacenti. Bigione viene arrestato a Oradea, in Romania, il 4 ottobre di quell’anno. Ma le indagini continuano, e sono volte a trovare i suoi fiancheggiatori, coloro che hanno favorito la sua latitanza. Una rete che parte da Mazara, passa dall’Emilia Romagna, arriva in Romania. Nei primi giorni di latitanza l’urgenza era trovare i soldi, come abbiamo raccontato nella prima puntata di questa inchiesta, cominciata ieri. Ma è una catena lunga che fa camminare soldi e pacchi.
Il giro dei soldi
Giuseppe Armata, mazarese da anni residente a Bologna, da quello che emerge dalle indagini, è una delle persone più attive nell’aiutare la latitanza di Vito Bigione. I due sono molto intimi, sono cugini acquisiti. Armata infatti ha sposato Rosaria Bigione, cugina di Vito, il cui padre, quindi zio del narcos, anche lui Vito Bigione di nome, è stato condannato a 13 anni di reclusione per traffico di stupefacenti. Anche Armata è stato più volte sottoposto ad indagini per associazione mafiosa. Di lui ha parlato diverse volte nei suoi interrogatori il collaboratore di giustizia Rosario Spatola, che lo aveva indicato come uomo d’onore della famiglia mafiosa di Mazara.
Fatto sta che Armata si attiva per aiutare il cugino, e fa visita a Monica Deserti, il 23 agosto, in ospedale a Bologna, dove l’infermiera lavora, per ricordarle di ritirare le “card al paziente”, cioè delle Postepay da utilizzare per trasferire i soldi al latitante. Il giorno dopo Vincenzo Pisciotta invia alla Deserti 700 euro da girare a Bigione. Nel frattempo lo stesso Pisciotta si preoccupava di mantenere informato l’uomo d’onore mazarese Antonino Cuttone sul “ragioniere”. Era stato proprio Cuttone quel giorno a telefonare a Pisciotta chiedendo notizie di Bigione. “il ragion… non lo chiamare per ora, il ragioniere com’è finita?”. Gli investigatori scrivono che “il tenore del dialogo rivelava già da subito che Pisciotta era inserito e operava nell’ambito delle dinamiche mafiose della famiglia di Mazara del Vallo, ai cui componenti riferiva notizie relative al narcotrafficante”. In quei giorni viaggiano tanti soldi da Mazara a Bologna. Pisciotta e Michele Biondo, il dentista abusivo, ricaricavano la carta prepagata di una collega di Monica Deserti. La stessa collega poi girava le somme alla Deserti, che non era in possesso di carte prepagate. Un giro per eludere eventuali tracciamenti. E che non finiva qui.
Il viaggio interrotto
Nel frattempo Giuseppe Armata in quei giorni andava più volte in un call center di Bologna gestito da pakistani dove aveva attivato numerose utenze telefoniche dell’operatore Lyca Mobile, tutte intestate a soggetti stranieri. Armata si muove tanto, si muove spesso. E qui entra in gioco Nicolò Tardino. Gli investigatori accertano che nel suo B&B di Imola, “La Dimora”, trovò rifugio Vito Bigione prima di partire per la Romania. E in quello stesso B&B a fine agosto Armata si ferma per una notte. Armata il giorno dopo parte da Bologna con un treno diretto per Venezia. La sua intenzione è proseguire, andare in Austria. Ma interrompe il suo progetto. Si ferma una notte a Venezia, poi torna indietro verso Bologna. Sospetta di essere pedinato. Cosa doveva fare in Austria? Deve andare da Roberto Pantaleone Merlo, calabrese domiciliato in Austria a riscuotere un credito di 2000 euro per conto di Bigione, secondo quanto scoperto dagli investigatori. In quel periodo Merlo era sottoposto ad indagini in Austria per associazione finalizzata al traffico di droga tra l’Austria, l’Italia e la Slovacchia “anche tramite una joint venture di soggetti siciliani e calabresi per la quale proprio Giuseppe Armata aveva svolto il ruolo di mediatore”. Gli investigatori non hanno dubbi che quei soldi, i 2000 euro, dovessero andare a Vito Bigione, che per le associazioni mafiose siciliane e calabresi aveva effettuato traffici di ingenti quantità di droga.
“Siamo stati bravi”
Intanto entrano in gioco due donne rumene. Si tratta di Adriana Viorica Muscan, che sta nel Bolognese, e Elisabeta Halasz che sta in Romania. E’ l’ultimo anello della catena per far avere i soldi al narcos latitante. Era Nicolò Tardino ad avere rapporti fitti con Muscan. I soldi da Mazara arrivavano a Bologna, alla Deserti, poi passavano ad Armata, che li portava a Tardino ad Imola. A sua volta li consegnava alla Muscan. Da lei con Western Union fino ad Oradea, per l’amica, Halasz. Sono diversi i trasferimenti tra Muscan e Halasz. I soldi arrivano a Bigione che si nasconde proprio in un appartamento della donna. La notizia arriva a Mazara, ne è felice Pisciotta. La notizia arriva a Bologna, sono felici Armata e Deserti: “intanto ti posso dire una cosa? Se siamo arrivati a questo punto dico ‘bravi!’”, si autocongratulano i due.
La scampagnata
Armata e Tardino in quei giorni pensano ad “una scampagnata”. Una trasferta in Romania per andare a trovare il latitante e portargli i suoi effetti personali. Trasferta che non verrà effettuata. “Ci sono rimasto male ieri per la mangiata. Ce la facciamo. Per la grande mangiata fra una decina di giorni” dice Armata a Telefono.
Ma non la faranno loro la scampagnata. Ci penserà un altro uomo. E sarà l’ultimo viaggio.
L’ultimo anello
E’ la mattina del 29 settembre. Muscan chiama Tardino e gli ricorda di avvisare “Neluzzu” per mettersi d’accordo per la spedizione. Neluzzu in realtà si chiama Nelutu, è un rumeno, incaricato di trasportare dall’Emilia Romagna con un furgone dei beni a Vito Bigione in Romania. E’ lo stesso uomo che il nove luglio prese il narcos mazarese dal B&B La Dimora per portarlo di nascosto nel suo covo in Romania. Il 30 settembre 2018 Nelutu va al B&B di Tardino, prende una scatola bianca con le scritte blu e una valigia grigia che carica sul furgone. La valigia era stata prelevata da Armata dall’abitazione di Monica Deserti. L’infermiera è molto coinvolta nell’organizzazione. Si trova anche a rassicurare la sorella di Vito Bigione: “credo sia andato in un posto sicuro dov’èera prima, stai tranquilla che se ci fosse qualcosa l’avremmo già saputo. Tranquilla, fidati”.
Nel frattempo Muscan e Halasz si sentono a telefono. Il pacco è partito, i soldi sono arrivati. Fine della conversazione. Lo sanno anche gli investigatori che la valigia e il pacco destinati a Bigione sono partiti da Imola sul furgone guidato da Nelutu. Comincia così il pedinamento. Il 2 ottobre all’alba, dopo aver viaggiato tutta la notte, Nelutu raggiunge la città di Oradea, in Romania, dove si nasconde Bigione. Lì, in una stazione di servizio consegna i pacchi ad Elisabeta Halasz. E’ l’ultimo anello della catena. Gli investigatori tengono lei d’occhio. Sanno che la donna li porterà al narcos mazarese.