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22/07/2022 12:41:00

“Non erano imprese mafiose”: dissequestrati beni e società dei Rappa

 Non erano legate a Cosa Nostra, non c’è stata immissione di capitali illeciti: con questa motivazione la Corte d’Appello per le misure di prevenzione ha restituito alla famiglia Rappa gran parte del patrimonio immobiliare e societario, ponendo fine — salvo ricorsi — a uno dei più lunghi e controversi procedimenti antimafia in Sicilia.

La Corte, presieduta da Aldo De Negri, ha rigettato il ricorso della Procura, confermando in larga parte quanto già deciso nel 2018 in primo grado: sì alla confisca di alcuni beni immobili costruiti in epoca recente, no alla confisca del resto delle attività imprenditoriali, che secondo i giudici non sono mai state mafiose. Tra le società tornate alla famiglia figurano la “Vincenzo Rappa Snc”, “Villa Heloise Costruzioni”, “Cipedil” e “Gei Generali Imprese”. Restituiti anche beni simbolici, come l’emittente Telemed e le concessionarie Nuova Sport Car, oltre al prestigioso Palazzo Benso a Palermo, attuale sede del Tar, affacciato su Porta Felice.

Il passato che pesa

Il capostipite Vincenzo Rappa era stato vittima del racket mafioso, e aveva pagato il pizzo — secondo le sentenze — dopo una serie di attentati nei suoi cantieri. Da qui la sua condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, confermata in via definitiva. Ma non per riciclaggio: nel 2023 la condanna su questo punto è stata annullata in revisione. Una circostanza che ha pesato fortemente sulla decisione della Corte, che ha ritenuto che i capitali delle imprese non derivassero da attività illecite.

Il ruolo della Dia e il caso Saguto

Il sequestro iniziale risale al 2014 e porta la firma dell’allora presidente delle misure di prevenzione di Palermo, Silvana Saguto, oggi condannata per corruzione e falsa amministrazione dei patrimoni sequestrati, e di nuovo sotto inchiesta a Caltanissetta. La sua gestione disastrosa — simbolo delle storture del sistema antimafia — torna a pesare come un’ombra su questo e altri procedimenti.

Il nodo giuridico e l’Europa

Per la difesa dei Rappa — un collegio vasto con nomi come Raffaele Bonsignore, Giovanni Di Benedetto, Giuseppe Oddo, e molti altri — la partita non è finita: è in corso un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che potrebbe rimettere in discussione anche la condanna per concorso esterno, alla luce del principio già affermato nel caso Bruno Contrada, secondo cui il reato, all’epoca, non era previsto con sufficiente chiarezza.

Una “mafia” che non c’era?

Secondo la Corte d’Appello, non ci sono prove che le imprese Rappa abbiano beneficiato della protezione di Cosa Nostra né che abbiano investito denaro sporco. Gli investimenti sono stati ritenuti proporzionati al volume d’affari lecito. Solo pochi immobili, realizzati nella “seconda fase” del percorso imprenditoriale di Rappa, restano confiscati.



STUDIO VIRA | 2025-04-09 10:50:00
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