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05/04/2025 06:00:00

Il vino siciliano e i dazi di Trump. Chi pagherà davvero?

 Non bisogna essere un grande economista per affermare che i dazi sono un’arma a doppio taglio, ma a subirne le conseguenze più dure sono sempre i soggetti più deboli della filiera agroalimentare. Oggi si discute su come affrontare questo problema, con alcuni imprenditori che invocano una compartecipazione ai costi, chiedendo a tutti di ridurre i propri margini per assorbire l’impatto.


Ma mettiamo subito in chiaro una cosa: la filiera è composta da molti attori, ed è vero che in teoria potrebbe attutire il colpo, ma nella pratica chi finirà per pagare davvero?


Prezzo e marketing: un punto di non ritorno
C’è un aspetto fondamentale di marketing che spesso viene ignorato: come diceva Kotler (uno dei principali teorici del marketing) quando si arriva a giocare la carta del prezzo per mantenere la competitività, significa che tutte le altre strategie sono già esaurite. Se abbassi troppo, dopo non puoi fare più nulla, se non svendere o addirittura regalare il prodotto.
E qui arriviamo al punto cruciale: chi sosterrà davvero il peso di questi dazi? Il rischio concreto è che finisca tutto sulle spalle dei produttori, la parte più fragile e meno tutelata della catena. Perché diciamolo chiaramente: chi protegge questi piccoli agricoltori? Chi si preoccupa di garantire loro una soglia minima di sopravvivenza?

Le cantine sociali e il rischio di perdere le proprie radici
Negli anni ‘60 e ‘70, le cantine sociali hanno rappresentato il motore dello sviluppo agricolo. Sono state la risposta alla frammentazione della proprietà, la possibilità per migliaia di piccoli produttori di unirsi, di trovare uno sbocco sul mercato, di dare valore al proprio lavoro. Erano cooperative nel senso più autentico del termine: comunità di agricoltori che mettevano insieme risorse, sforzi e speranze.


Ma oggi? Oggi le cantine sociali rischiano di tradire la loro stessa natura. Per sopravvivere, alcune inseguono logiche ed assumo comportamenti lontani dal contesto e dal loro ruolo, dimenticando che le radici non si tagliano. Senza i soci, senza chi ogni anno lavora la terra e raccoglie i frutti, le cantine non esistono. Sopravviveranno? Non lo so, ma di certo è un cambiamento profondo che solleva domande importanti: si può ancora parlare di cooperativa quando il rapporto mutualistico viene meno? Quando il rischio economico si scarica solo su chi produce? Non si tratta di nostalgia o di idealismo, ma di tenere viva una visione economica che ha saputo generare sviluppo, dignità e coesione sociale. Senza i soci, senza chi lavora la terra ogni giorno, le cantine non possono esistere. Dimenticarlo significa snaturarsi, e alla lunga, perdere non solo l’identità, ma anche la fiducia del territorio.

Un prezzo minimo per tutelare la qualità
Non basta dire che “ognuno deve fare la propria parte”. La realtà è che nel mercato globale chi è più debole finisce per essere schiacciato. Se la filiera fosse davvero riconosciuta e tutelata si dovrebbe stabilire un prezzo minimo al di sotto del quale non si può scendere. Perché il paradosso è proprio questo: si chiede di abbassare i costi, ma non la qualità. Eppure, senza un minimo garantito, la qualità sarà la prima vittima.
I prodotti di fascia alta probabilmente reggeranno l’urto, magari con qualche scossone temporaneo. Ma i vini di fascia media, quelli che nel mercato americano vivono nella fascia tra i 10 e i 15 dollari a scaffale, subiranno un vero e proprio tracollo. La ripresa per questi segmenti sarà lunga e difficile, e molti non ce la faranno.


Gli agricoltori: l’anello debole del sistema
E così i primi a cadere saranno proprio loro: i produttori di uva, pomodori, olive e altri beni agricoli di base. Aziende piccole, di due o tre ettari, spesso a conduzione familiare, che non hanno la forza di reggere un simile impatto.
Non basta più vantarsi di vendere milioni di bottiglie. Bisogna capire a quale prezzo e a discapito di chi.


Oltre le soluzioni semplicistiche
Chi pensa che l’unica strada sia l’accorpamento delle aziende si illude. La dimensione non è di per sé una garanzia di efficienza o sostenibilità. Servono strategie diversificate e sistemi di supporto concreti: aggregazione negli acquisti, ottimizzazione dei costi di lavorazione e imbottigliamento, servizi per la coltivazione e la raccolta.
Certo, si può parlare di politiche monetarie, di tassi d’interesse o di incentivi pubblici, ma ogni misura emergenziale ha un limite e ogni scorciatoia rischia di lasciare indietro chi non ha i mezzi per correre più veloce.


È fondamentale introdurre norme più efficaci contro il dumping sociale, e allo stesso tempo lavorare su una vera diversificazione dei mercati. Ma conquistare nuovi spazi commerciali richiede tempo, strategie lunghe e un investimento collettivo di idee e risorse.
Mi dispiace dirlo, ma ogni volta che sento dire “ognuno deve fare la sua parte”, temo già di conoscere il finale: a pagare saranno i più deboli, i meno organizzati, quelli che non hanno voce nei tavoli dove si decide. E questo non è uno scenario possibile. È, purtroppo, già realtà.

 



STUDIO VIRA | 2025-04-09 10:50:00
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