Sovraffollamento, spazi fatiscenti, pochi agenti. Dopo i fatti di Trapani si riaccendono i riflettori sulle condizioni degli istituti di pena siciliani.
Le carceri siciliane sono al collasso: 23 strutture, molte delle quali fatiscenti, ospitano 7.073 detenuti, a fronte di una capienza di 6.518 posti. Celle anguste, spesso prive di luce e acqua, arrivano ad accogliere fino a 18 persone. La situazione è aggravata dalla carenza di 584 agenti su un organico previsto di 4.195, lasciando il personale in grave difficoltà nella gestione dei detenuti.
Il procuratore di Trapani, Gabriele Paci, non ha usato mezzi termini nel dire che i fatti del Pietro Cerulli, le violenze e le torture, sono figli delle condizioni precarie dei penitenziari.
Ha passato molto tempo nella sezione blu del carcere di Trapani anche Ivan Domenico Lauria, 29 anni, originario di Giostra (Messina), una delle tante vittime del sistema carcerario italiano. Lauria aveva più volte raccontato il suo tormento e i suoi tentativi di togliersi la vita. E’ morto qualche giorno fa al penitenziario di Catanzaro dove è stato trasferito senza preavviso.
Recluso per reati legati all’uso di droga, furto e rapina, Lauria si trovava a Trapani per scontare un cumulo di pene. A giugno 2023, durante un colloquio con i referenti dell’associazione "Nessuno tocchi Caino", aveva confidato di essere in un continuo stato di angoscia. «Mi taglio i tendini, mi impicco tutti i giorni», aveva raccontato, sottolineando di sentirsi abbandonato e inascoltato.
Rinchiuso nella cella numero 7, Lauria aveva accumulato denunce di autolesionismo e segnalazioni di disagio psichico. Nonostante fosse stato sottoposto a trattamenti sanitari obbligatori (TSO), raccontava di non ricevere il dosaggio adeguato per calmare il suo stato di sofferenza.
Dopo essere stato trasferito improvvisamente dal carcere di Trapani a quello di Catanzaro, Lauria è morto lo scorso 15 novembre in circostanze ancora poco chiare. La famiglia, non avvisata del trasferimento, ha scoperto della sua morte solo dopo aver ricevuto la comunicazione ufficiale. La causa del decesso è stata attribuita a un arresto cardiaco, ma i familiari contestano la versione ufficiale e attendono risposte dalle indagini in corso.
Tra i numerosi episodi di violenza che hanno scosso il carcere Pietro Cerulli di Trapani, uno dei più emblematici riguarda un detenuto di origine rumena. La vittima, dopo aver subito abusi sistematici durante il periodo di detenzione, ha tentato il suicidio una volta tornata in libertà.
Secondo quanto emerso dalle indagini, il detenuto sarebbe stato ripetutamente umiliato e sottoposto a trattamenti degradanti nella famigerata sezione Blu, già nota per le violenze commesse ai danni dei soggetti più fragili. Tra gli episodi più gravi, il detenuto ha raccontato di essere stato picchiato e deriso per la sua condizione, con agenti che, nelle intercettazioni, utilizzavano termini razzisti e umilianti per riferirsi a lui.
Uno degli abusi più scioccanti è stato il lancio di liquidi contro la vittima e l’uso della forza fisica per ottenere la sua sottomissione. Le percosse e le umiliazioni hanno lasciato segni profondi, non solo fisici ma anche psicologici, al punto che l’uomo, una volta rilasciato, ha tentato di togliersi la vita, confermando il trauma subito durante la detenzione.
Le indagini hanno inoltre rivelato un sistema di “punizioni esemplari” messo in atto da un gruppo di agenti penitenziari, che sfruttavano la vulnerabilità dei detenuti per esercitare un controllo arbitrario e spesso abusivo. Questo episodio, così come molti altri emersi dall’inchiesta, mette in luce una gestione penitenziaria che necessita di profonde riforme e una maggiore tutela dei diritti umani.