Tu che nella notte nera
Domenica 9 agosto, alle 21 al Complesso Monumentale San Pietro, andrà in scena in scena lo spettacolo "Tu che nella notte nera" di Katia Regina e Giacomo Bonagiuso con Diana D'Angelo e la partecipazione di Irene Gambino.
E' possibile prenotare il proprio posto presso la ProLoco di Marsala, e bisognerebbe recarsi un po’ prima al Complesso Monumentale San Pietro per le autocertificazioni Anticovid.
La nota di regia di Giacomo Bonagiuso:
Un luogo del presente, una luce, una donna, che gl autori non nomina, e che a me, da regista, piace chiamare Nici. E’ giovane, ancora forte, ma porta in sé qualche traccia di un passato latente, pronto ancora ad incombere nelle pieghe del presente e della presenza. Un luogo “altro” che è descritto da un’altra luce, altri oggetti, e altra dimensione; quasi un segreto in casa, nel cuore, e tra le movenze del corpo. Nella accentazione delle parole. Nella pronuncia e nel suono di una lingua viscerale, materna. Paterna.
Ed è il tema del “padre”, più volte oggetto di analisi letteraria, a diventare emblema della violenza: la peggiore, la più ingiustificabile perché annunciata da un tradimento, dal peggiore degli inganni. Non c’è pace se chi ti usa violenza è chi dovrebbe difenderti dalla violenza. Anzi, deve. Non dovrebbe. Non c’è ipotetica possibile nella paternità. Un padre è l’eroe che può fermare a mani nude tutto il male del mondo; quando ciò non accade è per sorte o per malattia. Ma è una impotenza che si perdona, con una carezza. E’ superman che non è arrivato in tempo. L’eroe che si strugge perché non può salvare tutti.
Ma quando il “padre” diventa per Nici il male, tutto il male del mondo, allora chi può liberare dal male? Non Dio, che può offrirsi alla sofferenza rassegnato. Non la Società, che guarda dall’altro lato. O almeno finge di guardare altrove, mentre, da ogni persiana, spia, per celia o per “sparlìo”, tutto e tutto sa. Ma tace. Connivenza. No, non solo indifferenza. Anzi, spesso la Società sta con le regole della violenza, con quel “padre” (perdonate, ma le virgolette scappano, automatiche) che con la più atroce delle violenze, quella sessuale, traditoria e incestuosa, infligge la pensa e il rimedio all’inaccettabile sociale: l’omosessualità femminile.
Nici paga tutto il prezzo, tutto: per un Dio che ha donato la libertà, per una Società bigotta e morbosa, per una cultura che giudica gli uomini e le donne per come trascorrono le proprie notti, nel proprio o altrui letto. Per un nucleo umano che “spredica” amore e perpetra egoismo.
Diana D’Angelo si confronta con un testo feroce; a lei ho chiesto di restituire ferocia alla ferocia, di entrare con la potenza del corpo laddove non è entrata tutta la parola. Ho chiesto il sacrificio dell’immergersi e fuggire, il rito di un teatro che sa ritornare alla narrazione, perché conosce l’alveo del male. Diana con la sua sensibilità e la sua forte struttura restituirà a voi Nici, in scena. E restituirà a tutti noi quell’orribile “padre”, nell’assenza che solo il teatro sa far diventare ossessione, presenza.
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