Giudicando “inammissibile” il ricorso difensivo, la seconda sezione della Corte di Cassazione (presidente Sergio Beltrani) ha confermato la condanna a 13 anni e 2 mesi di reclusione, nonché a 4500 euro di multa, per Pietro Randazzo, 43 anni, di Palermo, ritenuto al vertice di un’associazione per delinquere dedita ai furti di cavi di rame e alla ricettazione della refurtiva.
La Suprema Corte ha ritenuto “inammissibile” il ricorso avverso la condanna emessa dalla Corte d’appello di Palermo il 12 aprile 2024, che aveva confermato, riducendo la pena di soli due mesi, la sentenza emessa dal Tribunale di Marsala il 27 aprile 2021. In primo grado, Randazzo fu condannato insieme ad altre dodici persone.
Complessivamente, il Tribunale di Marsala emise condanne per oltre 56 anni di carcere. Tra il 2007 e il 2008, i furti di cavi elettrici contestati agli imputati provocarono diversi “black out” in alcuni centri della provincia di Trapani, quali Mazara del Vallo, Castelvetrano, Marsala e Salaparuta. Per altri sette imputati furono sentenziate assoluzioni o prescrizioni del reato. Il pubblico ministero Niccolò Volpe aveva invocato quindici condanne per oltre cento anni di carcere. Le “basi operative” dell’organizzazione criminale sarebbero state a Mazara del Vallo e a Castelvetrano. L’indagine, coordinata dalla Procura di Marsala, è stata svolta da polizia e carabinieri. Nel suo ricorso in Cassazione, l’avvocato difensore Giuseppe Cincioni ha lamentato che i giudici di merito hanno ritenuto i fatti ascritti all'imputato erano inquadrabili nel reato di ricettazione, piuttosto che nel concorso nei diversi furti di cavi di rame contestati ai correi, tutti condannati quali sodali dell'organizzazione di cui il Randazzo sarebbe stato l'organizzatore. Ma dalle sentenze di primo e secondo grado, ha evidenziato la Cassazione, risulta che il Randazzo “ha fornito un contributo causale apprezzabile alla realizzazione di tutti i delitti di furto”. Insomma, Randazzo non si sarebbe limitato alla ricettazione.
“La Corte territoriale – si afferma nella sentenza della Cassazione – ha riconosciuto, infatti, che il ricorrente veniva contattato dagli autori dei furti subito dopo la consumazione, ricevendo informazioni e rassicurazioni e concordando incontri per la consegna del materiale presso luoghi isolati. Inoltre, i giudici d'appello con riguardo alla partecipazione associativa hanno richiamato la sentenza di primo grado, la quale ha sottolineato che l'attività di acquisto di tutti i materiali sottratti creava una spinta a delinquere nei sodali e che il prevenuto ‘coordinava’ tutte le attività di furto, cosi delineando il concorso morale del Randazzo nei reati fine del sodalizio”.