A Palermo con Matteo Messina Denaro. Mentre le indagini continuano a scandagliare le relazioni sentimentali e provinciali del boss in provincia di Trapani, non bisogna dimenticare che gran parte della sua vita da latitante (alla luce del sole) e probabilmente del suo giro d'affari era a Palermo, città, chissà perchè, sparita dai radar delle indagini, nonostante, in maniera più o meno diretta, siano tanti i segnali della presenza del boss nel capoluogo siciliano, dove vantava relazioni eccellenti.
Mentre le inchieste e le cronache recenti, infatti, si concentrano sul volto più intimo e provinciale di Matteo Messina Denaro — le amanti, i pizzini, le passeggiate a Tre Fontane e le cene romantiche a Mazara — rischiamo di dimenticare la parte più oscura e strategica della sua latitanza: quella che passa da Palermo.
Sì, perché è nel capoluogo siciliano, e non solo nei paesi della provincia trapanese, che Messina Denaro ha costruito pezzi fondamentali del proprio potere. E proprio Palermo è stata per anni il centro nevralgico della sua rete di protezione più inscalfibile.
Palermo, capitale delle relazioni mafiose
Era a Palermo, nei quartieri bene e nei circoli riservati, che il boss trapanese poteva contare su amicizie solide, su coperture ad alto livello e su silenzi garantiti. Il suo nome aleggiava tra gli studi di professionisti insospettabili nel centro città. Non è un caso se nella sua agenda si trova il numero di un salone di bellezza di via Libertà, dove il boss sarebbe stato visto almeno una volta, nei primi anni 2000.
Il boss era legato — secondo varie informative — a pezzi del mondo sanitario, finanziario e imprenditoriale della città. Le indagini che hanno portato all’arresto del radiologo di Mazara del Vallo, Cosimo Leone, mostrano come Messina Denaro fosse in grado di ottenere ricoveri immediati e diagnosi lampo, mentre la sanità pubblica arranca. Dove si facevano questi affari? Palermo era il cuore.
Gli affari con Palermo
Non dimentichiamoci che Messina Denaro era il socio occulto della grande distribuzione. È qui che si muovevano gli investimenti, con società di copertura e prestanome, Molte di queste strutture oggi sono fallite o sono state sequestrate. Altri contatti portano ai salotti di Palermo bene, dove il nome del boss, anche se mai pronunciato, era ben noto.
Le protezioni eccellenti e i luoghi dell’ombra
I luoghi frequentati, secondo le prime ricostruzioni, sarebbero stati piazza Ignazio Florio, il Politeama e la zona dell’Albergheria, dove si trovano antichi contatti con famiglie storiche di Cosa Nostra. Ma anche il quartiere Resuttana, da sempre considerato zona grigia tra mafia e imprenditoria, era un punto di riferimento. È lì che, secondo una testimonianza ritenuta attendibile dai Ros, sarebbe stato ospitato per brevi periodi tra il 2006 e il 2010.
Il nome di Messina Denaro riemerge anche nei dossier su attività immobiliari sospette nei cantieri di via Sciuti e nella zona di via Trinacria. In particolare, i carabinieri avevano acceso un faro su un'impresa intestata a un palermitano, legato da vincoli di parentela a un boss di Sciacca, in affari con imprenditori vicini al clan dei Graviano.
La compagna storica di Messina Denaro, Franca Alagna, convocata di recente in Procura, ha ricordato un appartamento a Palermo dove hanno vissuto, ma ha detto di non saperne più indicare l'indirizzo. Secondo i pentiti, potrebbe trattarsi dell’abitazione di via Simone Cuccia, messa a disposizione dal clan di Brancaccio fra il 1994 e il 1995, anni in cui Messina Denaro era spesso anche all'estero. In quegli anni, tra l'altro, il boss si sarebbe spostato con un furgoncino della municipalizzata, dei rifiuti, l'Amap. A guidare il furgoncino dell’Amap con cui si spostava il boss, c’era Giorgio Pizzo, uomo della famiglia di Brancaccio e la cui identità Messina Denaro ogni tanto utilizzava. Fermati ad un posto di blocco dalla Guardia di Finanza, non furono riconosciuti.
Nel 2012, il superlatitante si recava in una nota gastronomia a pochi passi dal Teatro Politeama. Nel novembre 2014, utilizzando l’identità dell’architetto Massimo Gentile, acquistò una Fiat 500 presso la “Nuova Co.ri.” di via Tasca Lanza. Nel 2020 fu a Carini per un’altra 500, mentre nel 2022 tornò a Palermo, in zona corso Calatafimi, per comprare un’Alfa Romeo Giulietta, stavolta con l’identità di Andrea Bonafede (classe 1963). Il boss si sottopose a visite dallo specialista Antonio Pioppo, oculista con studio in via Pietro Scaglione. I controlli risalgono al 2016 e al 2020. In entrambi i casi, usò nomi falsi: Giuseppe Giglio nel primo, Andrea Bonafede nel secondo. Il medico, sentito in Procura, ha riferito di non aver mai sospettato l’identità del paziente. Altro dettaglio sorprendente: Messina Denaro si fece tatuare in uno studio di via Rosolino Pilo, pieno centro cittadino. È stato lui stesso a riferirlo, con tono di sfida, ai magistrati. Dai registri del tatuatore risulta che il 29 giugno 2012 fu presente un certo Andrea Bonafede classe 1969. "Tra le selvaggi tigri", "Ad augusta per angusta" e "VIII X MCML, XXXI" sono le scritte dei tre tatuaggi che il boss Matteo Messina Denaro si fece tatuare a Palermo, mentre era ricercato. Il giorno precedente, era stato registrato un altro nome, riconducibile a Campobello di Mazara: una persona convocata poi dai carabinieri, che però non ha tatuaggi.
Il mistero dell’archivio scomparso
Il boss era uno scrittore compulsivo. Annotava pensieri, ricordi, appunti e riflessioni. Ne sono prova i quaderni e i fogli trovati nella casa di Campobello di Mazara e in quella dove la sorella Rosalia aveva nascosto i pizzini. Ma dove sono finiti gli scritti più compromettenti? Quelli che raccontano trent’anni di mafia, di strategie, di rapporti tra clan? Quelli che potrebbero ricostruire i legami con i boss corleonesi, con Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Bernardo Provenzano?
Il pentito Fabio Tranchina, uomo di Brancaccio, ha raccontato che «dopo l’arresto di Riina, Graviano incontrava spesso Messina Denaro». Gli incontri avvenivano in un deposito di calcestruzzi a Misilmeri, un luogo periferico e poco controllato, ma funzionale per riunioni riservate. Tranchina accompagnava Graviano e ricorda le “tante carte” che Matteo portava con sé. Fogli e documenti, forse pizzini, forse diari, che oggi sembrano essere scomparsi nel nulla.
Brancaccio, Guttadauro e i legami familiari
Brancaccio è la zona di Palermo che torna più spesso nella biografia di Messina Denaro. Il boss era legato da vincoli di sangue a Filippo Guttadauro, originario proprio di lì, fratello di Giuseppe (il chirurgo dei boss) e sposato con Rosalia Messina Denaro. Un intreccio che unisce la famiglia di Brancaccio a quella di Castelvetrano. Guttadauro era anche stato uno dei postini di Provenzano, il capo di Cosa nostra che reggeva la strategia della pax mafiosa nei primi anni Duemila.
Eppure, nei pizzini e nei diari trovati dopo l’arresto di Messina Denaro, non c’è traccia di questi legami. Nessuna lettera, nessun accenno a Provenzano, ai Graviano, a Bagarella. Possibile che un boss così meticoloso, attento alle parole e alla memoria, abbia rimosso completamente la rete criminale di cui ha fatto parte per trent’anni?
Canali di denaro ancora attivi
C’è poi un altro dettaglio inquietante: il flusso di denaro che negli anni ha alimentato la latitanza del boss e che non si è interrotto nemmeno dopo la sua morte. Le indagini continuano a monitorare movimenti sospetti, società, prestanome. Palermo, ancora una volta, è al centro di questa rete. Ma c’è chi sa e non parla. Chi protegge i resti di un sistema mafioso ancora in piedi.
Una Palermo che tace
Tutto questo solleva una domanda: dove si nasconde la vera Palermo di Messina Denaro? C’è un archivio? Ci sono carte custodite da qualcuno? Oppure è tutto già stato bruciato, nascosto, sepolto?
Quel che è certo è che non basta il sequestro di una manciata di fogli per raccontare trent’anni di potere mafioso. Servono indagini più coraggiose, capaci di andare oltre i confini comodi del Trapanese. Perché se il boss è stato catturato a Campobello, la sua vera storia, forse, è rimasta scritta a Palermo. Solo che nessuno, per ora, l’ha ancora letta.
Il silenzio (assordante) su Palermo
Perché, allora, Palermo è così poco citata oggi? Forse perché scavare qui significherebbe toccare i fili ancora scoperti di una rete di potere più sofisticata. Non la mafia delle borsette e dei triangoli amorosi, ma quella delle cliniche private, dei consigli di amministrazione, degli studi notarili e delle logge massoniche.
Nessuna indagine recente ha più messo al centro Palermo, come se il capoluogo non avesse avuto alcun ruolo nella lunga latitanza del boss. Ma è davvero credibile che l’uomo più ricercato d’Italia, capace di restare nascosto per trent’anni, abbia fatto tutto da solo, nascosto in campagna?
La vera domanda
La domanda, oggi, è semplice: davvero vogliamo ricordare Matteo Messina Denaro solo come il boss innamorato, il dongiovanni di Campobello, quello dei pizzini e delle Louis Vuitton? O vogliamo ancora raccontare — e indagare — la mafia per quello che è davvero: una macchina di potere, di relazioni, di silenzi complici.