Papa Francesco, nelle sue ultime settimane di vita, sembrava consapevole dell’imminente fine. Lo ha raccontato al Corriere della Sera il suo medico personale, Sergio Alfieri, primario di chirurgia del Gemelli. Un legame profondo, il loro, fatto di fiducia, stima e confidenze.
“Ci vediamo lunedì”
L’ultimo incontro è avvenuto il Sabato Santo. «Stava bene, mi ha detto di sentirsi pronto a riprendere il lavoro», racconta Alfieri. Gli portò una crostata e si salutarono dandosi appuntamento a dopo Pasqua. Ma lunedì mattina, alle 5.30, l’allarme: «Mi hanno chiamato dicendo che stava molto male. Quando sono arrivato, era già in coma. Non rispondeva più agli stimoli. Ho capito che non c’era più nulla da fare».
“Ha voluto morire a casa”
Alfieri ha escluso il ricovero al Gemelli: «Trasportarlo sarebbe stato inutile e rischioso. Francesco aveva sempre detto che voleva morire a casa, a Santa Marta. Ed è stato così». Accanto a lui c’erano medici, segretari e il cardinale Parolin. Hanno recitato il rosario prima del trapasso.
Il desiderio inascoltato: gli embrioni abbandonati
Uno degli ultimi temi affrontati dal Papa era il destino degli embrioni congelati. «Mi disse: sono vita, non possiamo permettere che vadano persi o usati per la sperimentazione. È omicidio». Era in corso un confronto con il Ministero della Salute per un progetto di adozione. «Non ha fatto in tempo. Ora, se ci saranno le condizioni, mi impegnerò io a portarlo avanti».
“Mi benedisse le mani prima dell’operazione”
Francesco aveva scelto Alfieri per la sua prima operazione nel 2021. «Poco prima dell’intervento mi benedisse le mani. Un gesto fortissimo, che ho compreso davvero solo dopo». Un rapporto speciale: «Siamo stati legati da una stima profonda. È stato un privilegio curarlo. Anche nel suo ultimo saluto, con una carezza, mi ha lasciato un’eredità».