È una vicenda singolare quella che emerge dalle motivazioni della sentenza depositate il 10 aprile scorso dal giudice Marco Gaeta, a Palermo. Al centro della vicenda c’è Caterina Gentile, cancelliera presso la sezione penale del Tribunale di Marsala, non indagata ma citata nel dispositivo di condanna a carico del marito, Cosimo Leone, e del fratello, Massimo Gentile, entrambi riconosciuti colpevoli di aver favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro.
Secondo quanto ricostruito dal giudice (e riportato dal Fatto Quotidiano) Caterina Gentile avrebbe suggerito al marito la versione da fornire ai magistrati, un racconto “alternativo” utile a giustificare la propria condotta e a minimizzare il proprio coinvolgimento nel supporto fornito al boss di Castelvetrano.
Le condanne e il contesto
Massimo Gentile, architetto, è stato condannato a 10 anni di reclusione con rito abbreviato per associazione mafiosa: per nove anni avrebbe prestato la propria identità a Messina Denaro per agevolarne la latitanza. Suo cognato, Cosimo Leone, radiologo presso l’ospedale di Mazara del Vallo, ha invece ricevuto una condanna a 8 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, accusato di aver aiutato il boss durante un ricovero ospedaliero nel novembre 2020, fornendogli una scheda telefonica “pulita” e un cellulare.
Leone ha cercato di difendersi sostenendo di aver agito per “spirito umanitario”: “Lo facevo con tutte le persone, diciamo, questo senso di umanità…”, ha dichiarato.
Una versione a cui il giudice non ha creduto: “È evidente… dalla palese falsità della ricostruzione offerta dall’imputato… che Leone ebbe a prestare un aiuto concreto e consapevole alla latitanza di Messina Denaro”.
Il ruolo della cancelliera
Ma è nel comportamento della moglie, Caterina Gentile, che si addensano ombre. Durante un colloquio carcerario dell’11 aprile 2024 si evince – scrive il giudice – che la cancelliera ha suggerito espressamente al marito i dettagli da fornire in merito all’incontro con Andrea Bonafede classe '69, attraverso cui Messina Denaro avrebbe ricevuto una scheda telefonica. Il giudice sottolinea come “la moglie del Leone fosse già a conoscenza della ricostruzione alternativa… per averla con lui concordata già in epoca precedente all’emissione del titolo cautelare”.
Una frase intercettata durante l’incontro in carcere è illuminante. Leone afferma: “Vinni tannu quando mi vinni a purtari la magliettina con le mutandine… e nel mezzo gli ha messo la, la...”, a questo punto Caterina Gentile fa un cenno con la mano, Leone si volta verso di lei, annuisce, e completa: “…qualche… la scheda! Penso…penso. Perché non è che le ho viste!”.
Il gesto – annota il giudice – lascia pochi dubbi: si tratta di un suggerimento da parte della moglie, funzionario dello stesso sistema giudiziario che avrebbe dovuto contribuire a far emergere la verità.
La figura di Caterina Gentile, dunque, non è marginale in questo mosaico di relazioni, protezioni e silenzi. Non è soltanto la sorella di un uomo condannato per mafia, ma anche moglie di un medico che ha favorito un latitante al centro della storia criminale italiana.