Prosciolto dallo Stato, ma ancora ostaggio del sistema. È il paradosso che da anni vive Andrea Bulgarella, imprenditore trapanese tra i più noti nel settore dell’edilizia di pregio e del recupero conservativo. Dopo anni di accuse infondate, archiviazioni e perfino un pronunciamento della Cassazione che definisce “inattendibile” ogni ipotesi accusatoria, il suo nome continua a essere un bersaglio. Non più delle Procure, ma di un sistema che lo ha escluso silenziosamente dai circuiti bancari e finanziari. Un cortocircuito istituzionale che oggi approda in Parlamento.
A riaccendere i riflettori sulla vicenda sono due interrogazioni parlamentari presentate nei giorni scorsi dai senatori Emma Pavanelli (M5S) e Davide Faraone (Italia Viva), indirizzate al Ministero dell’Interno e a quello dell’Economia. La domanda è semplice: perché Bulgarella, sebbene prosciolto da ogni accusa, continua a subire un ostracismo economico? Perché il suo nome risulta ancora “attenzionato” nei sistemi bancari? Perché non può aprire un conto corrente, ottenere un POS, una linea di credito?
Qui potete leggere l'interrogazione di Davide Faraone.
Qui potete leggere l'interrogazione di Emma Pavanelli.
Un anno fa anche Vittorio Sgarbi era intervenuto per sollevare il caso di Bulgarella.
Una vita tra denunce e silenzi
La storia di Andrea Bulgarella è lunga quanto il suo impegno imprenditoriale e civile. Oltre venti esposti, dal 1980 ad oggi, contro corruzione, appalti truccati, consorterie mafiose e massoniche. È stato tra i primi, assieme al prefetto Gianfranco Vitocolonna, a denunciare intrecci opachi tra imprese del Nord e criminalità organizzata. Un’intuizione che anticipò l’azione di uomini come Falcone e Borsellino. Ma se a questi ultimi lo Stato ha reso onore, Bulgarella ha invece pagato il prezzo del coraggio con l’isolamento e la delegittimazione.
“Ho subito attentati nei cantieri e davanti casa – racconta – tutti denunciati. Nessuno ha mai indagato seriamente”. La sua colpa? Aver parlato, troppo e troppo presto. E forse, aver toccato nervi scoperti in ambienti dove si incrociano potere, affari e malaffare. Non a caso, nel suo memoriale inviato il 24 febbraio scorso alle massime cariche dello Stato, Bulgarella denuncia “vuoti investigativi, depistaggi, collusioni tra mafia, politica, massoneria e una parte della magistratura”.
Una damnatio economica senza giudizio
Il punto più inquietante della vicenda è che Bulgarella non è mai stato condannato. Non ha mai avuto un processo. Le indagini, come ha sottolineato lo stesso Procuratore Generale della Cassazione, erano “talmente infondate da non poter essere neanche ipotizzate in astratto”. Eppure, le banche hanno chiuso i conti, revocato le linee di credito, ritirato i POS. Il suo nome è diventato “radioattivo” nel sistema interbancario. “È una damnatio economica senza giudizio. La legge mi ha assolto, ma il sistema no”, afferma con amarezza.
Nel 2022 è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario. Risultato? Nessuno. Nessuna risposta dalle Istituzioni. Solo ora, con le interrogazioni di Pavanelli e Faraone, qualcosa potrebbe cambiare.
Una battaglia che diventa collettiva
Andrea Bulgarella non è solo un imprenditore. È anche un simbolo. E oggi ha deciso di mettere il suo patrimonio personale a servizio di una battaglia più grande, creando la Fondazione Andrea Bulgarella: “per tutelare chi, come me, è stato vittima di un potere opaco che non risponde mai”. Una fondazione che vuole essere spazio di ascolto e azione civile, contro la giustizia negata e l’abuso istituzionale.
“Non chiedo favori, né risarcimenti. Chiedo giustizia. Lo devo alla mia città, ai miei dipendenti, ai miei collaboratori. Il diritto alla verità non va in prescrizione”, afferma.
E conclude con parole che sono insieme denuncia e resistenza: “Se non mi ha ucciso la mafia, non ci riuscirà lo Stato. Ma il silenzio, quello sì, fa più male delle minacce”.
“La vicenda Bulgarella grida vendetta”. Il duro commento di Nino Oddo (Psi)
«La vicenda di Andrea Bulgarella grida vendetta e produce sdegno». Così Nino Oddo, segretario del Partito Socialista Italiano in Sicilia.
Oddo ricorda come oltre un anno fa Bulgarella non abbia scelto i riflettori di un’intervista o la vetrina effimera dei social per esprimere le proprie denunce. No. Ha fatto di più, e di meglio: ha presentato un dettagliato esposto-denuncia in due procure siciliane, indirizzandolo anche alle massime autorità dello Stato. Un gesto dirompente, che rompe il costume diffuso del “si dice” e del “non faccio nomi perché tengo famiglia”. Per una volta, un protagonista del tessuto economico siciliano ha deciso di esporsi in prima persona, nero su bianco, con nomi, fatti e circostanze. Nell’esposto si parlava apertamente di intrecci fra mafia, politica e parte della magistratura, nel cuore della Sicilia occidentale, lungo un arco di venticinque anni.
«La lettura faceva saltare dalla sedia», scrive Oddo. Ma a distanza di oltre un anno da quelle denunce, nulla si è mosso. Né una valanga di querele – che ci si sarebbe aspettati se quelle accuse fossero state infondate – né tantomeno provvedimenti ufficiali da parte delle autorità preposte, qualora le circostanze fossero state ritenute vere e fondate. Il silenzio, invece, ha avvolto tutto. Un silenzio pesante, che suona come un’amara conferma.
E in questo contesto, per Oddo, anche le annuali commemorazioni delle stragi mafiose rischiano di perdere significato, diventando mera retorica di facciata. «In una terra dove l’antimafia di professione è in servizio permanente effettivo – scrive con sarcasmo – resta purtroppo valido il detto gattopardesco: tutto cambi, affinché nulla cambi».