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13/04/2025 06:00:00

 Adolescence: un piano sequenza necessario

di Katia Regina

Per quanto riguarda l'attualità geopolitica mi avvalgo della facoltà di aspettare: avvisatemi quando questo incubo sarà finito. Nel frattempo scappo, fuggo ai ripari, mi alieno da un presente che non posso dirigere in alcun modo. Il mio bene rifugio non è l'oro, se ne avessi correrei a venderlo per monetizzare e risolvere il quotidiano del qui e ora. Peraltro pare che sarebbe un ottimo momento, le quotazioni sono alle stelle. Il mio bene rifugio è l'arte, in tutte le sue declinazioni, l'esperienza estetica di schilleriana memoria, quella che mi consente di sperimentare un'armonia che silenzia la ragione, gli istinti, le necessità... e in questo stato di libero gioco di facoltà mi sento più vicina al mio essere.

Fermatemi, sto parlando come il ministro Giuli (Gulp!)

Torno in me per dirvi, alla mia maniera, che il mio rifugio, quando mala tempora currunt, (aridaje) il mio rifugio, dicevo, sono i libri, i film, i podcast e un pugno di buoni amici per parlarne. A tutto questo si sono aggiunte, di recente, le serie televisive. De L'arte della gioia ho già parlato, stavolta vorrei occuparmi di Adolescence, la miniserie che ha ridato dignità al genere nelle produzioni Netflix. In molti si sono espressi su questa serie, voci autorevoli dal punto di vista tecnico, in merito alla difficilissima scelta del piano sequenza, ossia la ripresa continua e ininterrotta di un'intera parte, esattamente come avverrebbe nella realtà. Ebbene, questa tecnica è accostabile alla narrazione immersiva in letteratura, quella che ti incolla alle pagine e non ti consente di posare il libro se non alla fine. Ho visto le quattro puntate della serie tutte di fila, come mi era già successo per certi libri.

 

Sto girando intorno alla questione, lo ammetto, mi e vi distraggo con cose tecniche quando in realtà di questa serie bisognerebbe parlare del contenuto. La complessità del periodo adolescenziale è ben nota a tutti, ogni esperto si esprime rispetto al proprio ambito, per sentenziare colpe ora alla rete, o ai genitori, alla scuola, alla politica... sicuramente il concorso di colpa esiste eccome, ma la difficoltà nel trovare un responsabile, più responsabile degli altri, è davvero abnorme. In questa serie ciò che mi ha colpito, al di là della crudezza del linguaggio e delle dinamiche tra i singoli ruoli, è stata la scoperta dell'incapacità degli adulti-genitori di comprendere il linguaggio dei ragazzi. Una sorta di castigo divino, avete presente l'episodio biblico della Torre di Babele: Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Nel nostro caso la lingua è la stessa, ma non il linguaggio.

Il vero punto di svolta della serie risiede proprio in questo dettaglio, non spoilero in che modo avviene, ma quando il detective, nonché padre di un adolescente, viene messo a conoscenza del significato delle emoji nel linguaggio usato dai ragazzi per comunicare in rete, ebbene, a quel punto la storia subisce una sorta di inversione di marcia.

Tutto questo mi porta a fare una considerazione, i genitori dovrebbero sottoporsi a una sorta di formazione permanente, qualche pomeriggio al mese, nella stessa scuola frequentata dai figli: sedersi sulle stesse sedie e prendere appunti sugli stessi banchi, osservare l'ambiente in cui i ragazzi dovrebbero apprendere, valutarne la qualità. In poche parole, immergersi nel loro mondo e conoscerne il linguaggio, e poi controllare gli strumenti che usano i loro figli, che si fotta la privacy.

Per i ragazzi invece, sarebbe opportuno l'obbligo scolastico dell'ora settimanale di educazione alla rete, visto che quella affettiva e sessuale non si riesce a istituirla perché Pillon & C. temono il contagio gender.

Questa serie ci indica, senza mezzi termini, che la genitorialità consiste soprattutto nel seguire i figli adolescenti, senza prendere a riferimento la propria di adolescenza, ormai obsoleta rispetto all'attualità; saper dire no ai figli, e aiutarli a superare la frustrazione. Il non gli ho mai fatto mancare niente non funziona, è ormai evidente, è servito come scusa per auto-assolversi. per giustificare l'assenza della prossimità affettiva e fisica.

Tra un dibattito e l'altro di esperti c'è la vita reale, quella che ci inchioda, tutti, alle singole responsabilità: i cosiddetti bravi ragazzi ormai riempiono le pagine della cronaca nera, più dei delinquenti incalliti.

Consigli per la lettura: I no che aiutano a crescere di Asha Phillips

Vi consiglio la visione di questo video che svela alcuni trucchi tecnici davvero interessanti:

 

 



Libri e fuffa | 2025-04-13 06:00:00
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STUDIO VIRA | 2025-04-09 10:50:00
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