Comincia una nuova serie di articoli, dedicata alla letteratura per l'infanzia. Marcello Benfante attraverso il racconto delle più affascinanti eroine di carta ci farà riscoprire il piacere di crescere e guardare al futuro. A qualsiasi età.
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“A questo punto è necessaria una mia spiegazione, ed il lettore farà bene a tener sott’occhio una carta geografica”
Robert Louis Stevenson, Il ragazzo rapito
Si celebra, in questo ansiogeno 2025 di rara ferocia misogina (e ci piace pensare che l’omaggio sia in forma di antidoto), l’ottantesimo compleanno della pubblicazione del romanzo per bambini “Pippi Calzelunghe” di Astrid Lindgren (1907-2002), apparso nel 1945, ma concepito alcuni anni prima, a partire dal 1941, allorché la figlia Karin fu costretta a letto da una lunga malattia.
Personaggio felicissimo ed eslege (proprio come la sua creatrice), Pippi ci viene subito presentata come un’orfana di nove anni, senza mamma né papà, e che quindi si trova in uno stato di assoluta fanciullezza e indipendenza. Non ha obblighi verso la famiglia né verso la società, salvo sporadicamente la scuola. Non ha privazioni di sorta. È ricca (per un lascito paterno: possiede una grossa valigia piena di monete d’oro). È proprietaria di una grande casa (Villa Villacolle) con annesso giardino. Inoltre è provvista di una forza eccezionale. Una forza naturale e quasi magica che le consente addirittura di sollevare un cavallo. È insomma una “bambina straordinaria”, una Wonder Woman in miniatura, una piccola donna in nuce che nonostante la propria orfanezza infantile ha al suo comando una ciurma di devoti marinai con i quali percorre gli oceani e i sette mari, spaziando libera in ogni continente. O forse lo immagina soltanto. Di Egitto, Congo belga, Borneo, Guatemala, Portogallo, India, Argentina, Cina, Singapore, Calcutta, Cuba, Shanghai eccetera farà molte grottesche notazioni. Un po’ bugiarde e caricaturali. Si tratta pertanto di un soggetto onirico e fiabesco, che attrae e affascina irresistibilmente il mondo dell’infanzia nel suo desiderio o sogno di identificarsi nell’eroina autosufficiente e pressoché onnipotente. Ma al tempo stesso Pippi si mostra a tutti gli effetti come una bambina reale che porta le stimmate della sua fragilità e della sua solitudine. O meglio ancora, della sua diversità inconciliabile. Con i suoi capelli “color carota, stretti in due treccioline, ritte in fuori”, il naso a patata, la bocca troppo grande, non può certo dirsi una bellezza canonica. Per non dire del suo vestito clownesco e arrabattato: l’abito che si è cucito da sola con la stoffa rattoppata in modo variopinto e raffazzonato: le sue lunghe calze spaiate, le sue scarpe di misura doppia comprate dal padre in Sudamerica “grandi così perché i piedi di Pippi potessero crescervi a loro agio”. Un personaggio circense o da commedia dell’arte affiancato da una scimmietta adiuvante “che indossava pantaloni blu e una giacca gialla, e portava in testa una paglietta bianca” alla quale si aggiunge un cavallo bianco a pois che Pippi fa roteare sul suo capo. Questo aspetto teatrale e carnascialesco fu poi confermato, anche se in modo un po’ più sobrio, dalla versione televisiva (in Italia dal 1969) che consacrò la popolarità e la fortuna del personaggio in tutto il mondo.
Ragazza selvaggia di grossolana istruzione, che storpia le parole più difficili e non sa leggere “gran che bene”, Pippi non sembra tuttavia del tutto priva di letture (cita Stevenson, per esempio) e di cognizioni geografiche ed etniche, ancorché alquanto immaginose e bizzarre. Alla sua forza erculea e mitologica, associa pure una curiosità insaziabile e una volontà incontenibile. Ogni luogo del pianeta, soprattutto se lontano da casa sua, le sembra ricco di lusinghe e splendide attrattive. Ogni viaggio, e perfino ogni naufragio, è un’avventura e un’esperienza, forse solo fantasiosa, di formidabili seduzioni da affrontare con piratesco cipiglio. L’importante è fare sempre “quello che vuoi”. Senza limitazioni o imposizioni. È lecito tuttavia supporre che tutte queste avventure libertarie si compiano, con acrobatica destrezza, all’interno delle mura domestiche o nelle praterie sterminate del sogno e del gioco.
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