L’altra sera ho assistito a una proiezione pubblica della docu-serie “Mauro Rostagno – L’uomo che voleva cambiare il mondo” preso il cinema Ariston di Trapani.
L’ottima produzione di Sky e Palomar sviscera la biografia del politropo e tenace giornalista Mauro Rostagno, ucciso dalla mafia alla fine degli anni ’80 a Trapani.
Con un registro ironico ma pungente, Mauro Rostagno denunciava quotidianamente la commistione tra imprenditoria, politica e malaffare nel territorio trapanese che, ai tempi, era una delle roccaforti mafiose più solide di Sicilia. Qui si raffinavano importanti quantitativi di droga, qui il rapporto cittadini-banche era il più alto d’Italia in una terra che non era certo la più ricca d’Italia; miliardi di soldi sporchi finivano a Trapani che dunque doveva restare quieta, silenziosa, non attirare troppo l’attenzione delle autorità.
A parte però la vita del protagonista, il documentario è anche utile per ricostruire la mentalità della società trapanese di 40 anni fa e metterla a confronto con la contemporaneità; purtroppo il rapporto fra differenze e similitudini risulta impietoso.
Partiamo dal contesto: una sala cinematografica gremita di volti e maschere cittadine, con i politici in prima fila a stringere quelle mani che poi si spelleranno nella standing ovation finale, in onore dell’eroe coraggioso che però ai tempi veniva definito rompicoglioni dagli antecessori di quelle stesse maschere oggi plaudenti.
L’osservatore più attento, non potrà non notare uno stridio ipocrita. L’immagine retorica che mi è venuta in mente durante la visione del film è quella della catena: un serpente che continua a imprigionare la città a distanza di 40 anni, con i suoi opachi anelli che si srotolano nel tempo.
Solo a titolo di esempio: PRIMO ANELLO, la citazione nel documentario della "Manuguerra Dynasty", ovvero l’inchiesta che Mauro Rostagno condusse a suo tempo su tal Luigi Manuguerra “che, affermava, vendeva posti di lavoro in cambio di voti”. (La Repubblica - Trapani, morto Manuguerra: Rostagno fu minacciato dopo il racconto della sua "Dynasty" - 04 Aprile 2020). Sempre dallo stesso articolo apprendiamo che “Nel processo per l'omicidio del giornalista emerse anche una lettera anonima consegnata a Rostagno cinque mesi prima della sua uccisione, i cui si minacciava di punire il giornalista "per essere tornato sulla vicenda dei Manuguerra" avvertendo che "la televisione sarà colpita da un grave lutto"”.
E fu lo stesso Manuguerra a finire ai domiciliari con l'accusa di voto di scambio politico-mafioso durante le elezioni ericine (TP) del 2007 (SECONDO ANELLO); il Manuguerra che ritroviamo a cena (sempre nel 2007) con l’attuale sindaco di Trapani, Giacomo Tranchida (TERZO ANELLO), dove secondo la testata giornalistica Tp24, vi fu“un patto, tra Giacomo Tranchida e Cettina Montalto (la compagna di Luigi Manuguerra, candidata alle elezioni), in vista del voto: i Manuguerra avrebbero votato e fatto votare per Tranchida”. (Tp24 - Trapani, Tranchida e la "mangiata" con Manuguerra. La verità, 17 anni dopo - 27/06/2024)
Al QUARTO ANELLO troviamo duque il sindaco di Trapani, ieri sera in prima fila ad arringare, tra l’altro, sui rapporti poco chiari tra politica e imprenditoria nel territorio trapanese.
Imprenditoria che oggi a Trapani pretende di comandare la politica, pubblicamente, tramite social, indicando all’amministrazione quale evento va fatto e quale va cassato per vendetta contro i propri avversari commerciali. Imprenditoria che si ritrova sulla propria scrivania documenti protocollati dai privati cittadini presso gli uffici amministrativi e che vengono misteriosamente girati all’imprenditore da politici compiacenti, oltre che venire pubblicati sui social dallo stesso imprenditore con il carico di insulti e minacce verso il povero cittadino che ha osato richiedere un legittimo accesso agli atti. (QUINTO ANELLO)
Ma abbiamo anche un SESTO ANELLO, ovvero l’ipoteca sulla futura classe dirigente. Su quei giovani politici che tutto questo sanno, ma fanno finta di non vedere. Perché il potere va seguito, osannato, coccolato. Anche a costo di abdicare alle domande morali che un vero cambiamento necessiterebbe di porsi.
E così il malcostume politico rischia di perpetrarsi per altri 10, 20, 30 anni, andandosi a sommare ai 40 già trascorsi dai tempi di Mauro Rostagno
Quasi un secolo di mentalità reazionaria ai cambiamenti. La vita di Mauro Rostagno, spezzata nella speranza di un cambiamento delle dinamiche sociali, lascia oggi (guardando quel documentario) il sospetto che, in fondo, in quarant’anni non sia cambiato poi tutto.
Certo, lupara e coppole sono finite sotto naftalina e le connivenze si sono ammantate di legalismo.
Difficile trovare profili di reato nel malcostume politico-imprenditoriale trapanese, eppure non si possono non notare quei salotti, quei gruppi di influenza reciproca, le amicizie che convengono, le connivenze che mirano a spartirsi la città, l’economia, le poltrone. Perfino arrivando a decidere chi ha diritto di parola e chi no.
E ti ritrovi a riflettere sulla società di 40 anni fa riprodotta a schermo, fino all’accensione delle luci in sala; quando la contemporaneità ti scroscia addosso. E devi fare fatica a marcare le differenze di substrato tra ieri e oggi.
Scuoti la testa e, prima che inizi l’immancabile talk politico, la fiera dell’ipocrisia, la passerella della legalità, ti alzi e te ne vai con una certezza in testa: se Mauro Rostagno fosse stato vivo oggi vi avrebbe messi tutti sulla graticola. E invece delle standing ovation gli avreste dedicato isolamento e ostracismo.
Perché quando i morti non possono più parlare, è facile fargli dire cosa conviene. Con i vivi però è un po’ più complicato.
E dunque … buona visione.
Luca Schiacchitano