«Il danno è già in corso. Gli importatori americani hanno sospeso gli ordini di Marsala. Abbiamo i cartoni pronti, ma restano fermi nei magazzini».
È con queste parole che Roberto Magnisi, durante il “Glocal Sud” a Marsala, ha risposto sulle possibili conseguenze della guerra commerciale con gli Stati Uniti. Il direttore generale della Florio ha fotografato l’impatto immediato dei nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti su una parte importante del made in Italy agroalimentare.
La notizia è passata in sordina, ma descrive un problema molto concreto per l’economia isolana: la Sicilia, forte esportatrice di prodotti agroalimentari, in particolare vino e olio, rischia di essere una delle regioni italiane più penalizzate dalle misure protezionistiche varate oltre oceano.
Gli Stati Uniti hanno infatti annunciato un nuovo pacchetto di dazi su prodotti agroalimentari europei, come risposta a dispute commerciali più ampie, legate a settori industriali e tecnologici. Ma come spesso accade, a rimetterci sono le filiere più fragili, quelle legate ai territori, che vivono di export di qualità. In Sicilia, questo significa cantine vinicole, cooperative olearie, piccole e medie imprese che basano la loro competitività proprio sul mercato estero.
Gli effetti sono già visibili: ordini bloccati, vendite congelate, scorte accumulate. In particolare, il Marsala – già in difficoltà da anni per ragioni di mercato e posizionamento – rischia di ricevere un colpo durissimo. Ma anche altre denominazioni siciliane, in ascesa negli ultimi anni, sono ora in bilico.
Il governo regionale ha annunciato l’intenzione di intervenire con misure straordinarie: si parla di contributi a fondo perduto per le imprese colpite, con l’obiettivo di tamponare le perdite. Un segnale importante, certo, ma che non risolve il problema alla radice. In assenza di una politica commerciale comune più solida e di una strategia di lungo periodo per l’internazionalizzazione delle imprese, ogni dazio rischia di trasformarsi in una crisi.
Il rischio, oggi, è che a pagare siano non solo le aziende, ma intere comunità locali. L’agroalimentare in Sicilia non è solo economia: è lavoro, identità, coesione sociale. Se saltano i canali dell’export, salta un pezzo di futuro.