Si è svolto lo scorso 31 marzo, presso la Cittadella della Salute al Palazzo Ulivo di Trapani, il primo corso di formazione in provincia dedicato al “Percorso sanitario nel contrasto alla violenza di genere”.
Un’iniziativa importante, promossa dalla Commissione alle pari opportunità del Comune di Marsala, presieduta dall’avvocata Roberta Anselmi, in collaborazione con l’Asp di Trapani e lo sportello antiviolenza della Procura della Repubblica di Marsala.
Un appuntamento arrivato proprio mentre il Paese si interroga sconvolto dall’ennesimo femminicidio: quello di Sara Campanella, 21 anni, uccisa in pieno giorno a Messina da un uomo che la molestava da due anni. Due anni in cui, come spesso accade, Sara non aveva sporto denuncia. “Lo aveva sottovalutato”, dicono i titoli dei giornali. E puntualmente, la responsabilità viene scaricata sulla vittima. Non sull’uomo che l’ha perseguitata e poi sgozzata davanti a decine di testimoni, ma sulla giovane donna che non ha capito in tempo, che non ha “colto i segnali”.
Ed è proprio per evitare tutto questo che servono corsi come quello svolto a Marsala, rivolti a medici del pronto soccorso, psicologi e assistenti sociali, per imparare a riconoscere e decodificare i segnali di una violenza spesso sottile, sommersa, normalizzata. Le relatrici – la dottoressa Elvira Reale, psicologa e consulente della Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio, e la dottoressa Claudia Sara Cimmino, esperta in medicina d’urgenza e referente del Codice Rosa – hanno guidato i partecipanti attraverso le linee guida sanitarie del 2017, l’analisi di casi reali e la redazione di referti psicologici e medici in presenza di situazioni di violenza maschile contro le donne.
«È stato un corso di altissimo livello – ha sottolineato Anselmi – che ha fornito agli operatori quella lente di genere necessaria per leggere la realtà. Una realtà in cui la violenza sulle donne non è un evento improvviso, ma il culmine di un processo che troppo spesso viene ignorato, sminuito o addirittura giustificato».
La vita delle donne, oggi, è un terreno minato in cui bisogna imparare a sopravvivere sin da bambine. A destreggiarsi tra uomini che non accettano un rifiuto, una fine, un confine. E intanto, chi uccide viene descritto come “deluso”, “innamorato”, “incapace di accettare la separazione”. Il suo gesto viene raccontato come frutto di passione, quasi come un incidente emotivo. Di lei restano le domande: “Perché non ha denunciato?”, “Perché non è scappata?”.
Fino a quando continueremo a spostare lo sguardo sulle vittime e a derubricare questi femminicidi a fatti isolati, continueremo a contare morti. Finché non affronteremo il problema alla radice, con un’educazione capillare, una formazione seria e fondi strutturali per i centri antiviolenza e per il sistema sanitario, sarà sempre troppo tardi per qualcuna.