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31/03/2025 06:00:00

Pizzolungo, una strage italiana/1. Il giudice, l'attentato, le vittime

 2 Aprile 1985 - La Strage di Pizzolungo
Barbara Rizzo, Salvatore e Giuseppe Asta. I loro nomi sono stati ricordati lo scorso 21 marzo nel corso della “XXX Giornata della Memoria e dell'Impegno, in ricordo delle vittime delle mafie", organizzata a Trapani. A 40 anni dalla Strage di Pizzolungo, i loro nomi e le loro vite sono commemorati non solo in Sicilia, ma in tutta Italia, perché vittime innocenti di un massacro di mafia, una strage che non riguarda solo Trapani e la Sicilia, perché quanto accaduto quella mattina di primavera del 1985 nel piccolo borgo marinaro di Pizzolungo riguarda tutti gli italiani e la storia di questo Paese. 

Il contesto della strage
La mattina del 2 aprile 1985, la vita della famiglia Asta si intrecciò tragicamente con quella del giudice Carlo Palermo. Un semplice sorpasso e una bomba cambiarono il destino di tutti: Palermo era il vero obiettivo dell'attentato mafioso, ma a rimanere uccisi furono Barbara Rizzo e i suoi due bambini.
Era una mattina come tante per la famiglia Asta, fatta di preparativi per la scuola: zaini, libri e merende per la ricreazione. Poi, il tragico epilogo. La Volkswagen Scirocco guidata da Barbara si trovò involontariamente tra l'autobomba e la Fiat 132 blindata su cui viaggiava il magistrato. Proprio nel momento del sorpasso, l'esplosione squarciò l'aria. La deflagrazione, violentissima, disintegrò l'auto della famiglia Asta, lasciando dietro di sé solo una scia di devastazione.

 

La dinamica dell'attentato
Alle 8:35 circa, sulla strada provinciale che attraversa Pizzolungo, un'autobomba era pronta ad entrare in azione. L'esplosivo, posizionato sul ciglio della strada, doveva colpire il sostituto procuratore Carlo Palermo, che da Bonagia si stava recando al Palazzo di Giustizia di Trapani a bordo di una Fiat 132 blindata. L’auto era seguita da una Fiat Ritmo di scorta, non blindata.
In prossimità dell’autobomba, la vettura del giudice supera la Volkswagen Scirocco di Barbara Rizzo, 30 anni, che sta accompagnando a scuola i suoi figli, Giuseppe e Salvatore, gemelli di sei anni. La Scirocco si viene così a trovare tra l'autobomba e l'auto del magistrato. Nonostante ciò, il comando mafioso decide di far esplodere ugualmente la bomba, nella convinzione che l'onda d'urto avrebbe comunque colpito il bersaglio principale.
L'esplosione fu devastante e si udì a chilometri di distanza. La Volkswagen Scirocco venne completamente polverizzata, trasformandosi in una pioggia di detriti. Barbara Rizzo venne scaraventata fuori dall'abitacolo, il suo corpo squarciato dall'onda d'urto. I corpi dei due bambini, dilaniati, furono ritrovati a distanza, ridotti a brandelli. Un segno indelebile della strage rimase impresso sul muro di una palazzina a duecento metri di distanza: una grande macchia di sangue segnava il punto dove era finito il corpo di uno dei due bambini.

 

 

La strage di Pizzolungo
Infogram

 

 

Le vittime e i primi soccorsi
Sul luogo dell'attentato giunsero rapidamente i soccorritori. Tra i primi ad arrivare, dalla vicina via Ariston, c'erano Nunzio Asta, marito di Barbara e padre dei gemelli, e Vincenzo Rizzo, cognato della donna. Ma la scena era talmente surreale che inizialmente non si resero conto che la loro famiglia era stata annientata. La Scirocco era stata completamente distrutta, e tra le macerie si distinguevano solo la Fiat 132 blindata del giudice e la Ritmo della scorta.
Solo dopo l’arrivo della polizia e delle ambulanze, Nunzio Asta tornò a casa. Inizialmente ignaro di quanto accaduto, si recò nella sua officina per lavorare. Poco dopo, una telefonata della polizia gli chiese il numero di targa della sua auto, senza ulteriori spiegazioni. Fu in quel momento che iniziò a sospettare. Nel frattempo, una sua impiegata aveva già verificato che i suoi figli non erano mai arrivati a scuola.

 

 

I sopravvissuti
Il giudice Carlo Palermo rimase ferito, ma vivo. Venne trasferito al Palazzo di Giustizia di Trapani, da dove i colleghi lo convinsero a recarsi all'ospedale Sant'Antonio Abate per accertamenti. Tra gli agenti della scorta, Rosario Maggio e Raffaele Di Mercurio riportarono ferite lievi, mentre Antonio Ruggirello e Salvatore La Porta furono colpiti gravemente dalle schegge. Nunzio Asta, distrutto dal dolore, morì pochi anni dopo di crepacuore. L'unica sopravvissuta della famiglia Asta fu Margherita, la figlia maggiore, che quel giorno si salvò solo perché andò a scuola con una vicina di casa. Il peso di quella tragedia la accompagnerà per tutta la vita, diventando una delle principali testimoni della memoria di quella strage.
 


Chi era il giudice Carlo Palermo, le sue indagini

Carlo Palermo ha avuto un ruolo cruciale nelle indagini su traffici internazionali di droga e armi che coinvolgevano mafia, servizi segreti e ambienti della massoneria deviata. Nominato sostituto procuratore a Trento nel 1975, avviò nel 1980 un’inchiesta su un vasto traffico di stupefacenti e armamenti che aveva come snodo strategico l’Italia settentrionale. L’indagine prese il via dal sequestro di 110 kg di morfina base in un albergo di Trento e in una villa a Bolzano, portando alla luce un’organizzazione criminale che univa i narcotrafficanti turchi ai clan siciliani. Al centro dell’inchiesta emerse la figura di Henry Arsan, trafficante siriano che scambiava armi con droga tra Medio Oriente ed Europa, con il coinvolgimento di ufficiali dei servizi segreti italiani legati alla loggia massonica P2, come il generale Giuseppe Santovito e il colonnello Massimo Pugliese, oltre a importanti figure del mondo finanziario e industriale. Tuttavia, l’indagine subì un brusco stop quando il nome del presidente del Consiglio Bettino Craxi comparve su alcuni decreti di perquisizione: il CSM intervenne con un’azione disciplinare e il caso venne trasferito alla Procura di Venezia, spingendo Palermo a chiedere il trasferimento a Trapani nel 1985.

Giunto in Sicilia, il magistrato si ritrovò immerso in un contesto investigativo che sembrava la prosecuzione di ciò che aveva scoperto a Trento: il traffico di droga tra Turchia, Italia e Stati Uniti e il contrabbando di armi che coinvolgeva mafia, ambienti massonici e servizi segreti. Arrivato da qualche in Sicilia, il giudice Palermo stava indagando sul quei traffici di armi e droga e sulla criminalità organizzata. Proseguiva quelle che erano state le indagini di Giangiacomo Ciaccio Montalto, ucciso il 25 gennaio del 1983 a Valderice, e con il quale si erano incontrati a Trento, per scambiarsi alcune informazioni, appena tre settimane prima del suo omicidio.

Contemporaneamente, le indagini del giudice Giovanni Falcone smascherarono le raffinerie di Trabia e Carini, rifornite dalla stessa organizzazione trentina. Anche in questo caso, la portata delle indagini si estese dall’Austria alla Germania, dalla Svizzera alla Jugoslavia, coinvolgendo Turchia, Bulgaria e il Nord Africa. Inoltre, emersero traffici occulti di armi e petrolio tra l’Italia e la Libia, svelando collegamenti tra i servizi segreti italiani, americani e orientali nella compravendita di armamenti. Solo 50 giorni dopo il suo arrivo a Trapani, la mafia cercò di eliminarlo con un’autobomba a Pizzolungo. L’attentato, organizzato da Cosa Nostra, fallì nel colpire il giudice, ma causò la morte di una giovane madre, Barbara Rizzo, e dei suoi due figli gemelli. Le successive indagini confermarono che la mafia voleva impedire a Palermo di proseguire le sue inchieste, poiché stava per scoprire una raffineria di eroina nei pressi di Alcamo, legata agli stessi circuiti criminali emersi a Trento. L’attentato di Pizzolungo fu quindi un segnale di intimidazione e un’azione preventiva per proteggere un sistema di potere occulto che gestiva il traffico internazionale di stupefacenti e armi, con ramificazioni nelle istituzioni e nei servizi segreti.

 

Chi sono Barbara Rizzo e i gemellini Giuseppe e Salvatore Asta
Barbara Rizzo era una giovane madre di 30 anni, una donna semplice e amorevole che dedicava la sua vita alla famiglia. Cresciuta a Trapani, si era sposata con Nunzio Asta e insieme avevano costruito una vita serena. Era una madre attenta e premurosa, profondamente legata ai suoi tre figli: Margherita, la primogenita, e i due gemelli, Giuseppe e Salvatore.
Giuseppe e Salvatore Asta erano due bambini di sei anni, inseparabili come spesso accade ai gemelli, pieni di energia e curiosità verso il mondo. Vivevano la loro infanzia con la spensieratezza tipica della loro età, circondati dall’amore della loro famiglia. Amavano giocare insieme, condividere tutto e riempire la casa di risate. La loro vita era fatta di piccoli sogni, di corse nei cortili e di quella gioia pura che solo i bambini sanno trasmettere.

 

 


La loro esistenza fu spezzata troppo presto, lasciando un vuoto incolmabile in chi li aveva amati. Barbara, Giuseppe e Salvatore non sono solo vittime di un destino crudele, ma simboli di un’innocenza violata, di una vita che avrebbe dovuto essere piena di possibilità e che invece è stata strappata via senza motivo. Margherita Asta, sopravvissuta alla tragedia, ha trasformato il dolore in impegno, portando avanti la memoria della madre e dei fratelli con coraggio e determinazione.