Caro direttore, devo congratularmi con Vittorio Alfieri per il contenuto (la perfetta ricostruzione degli eventi) e il modo ( la garbata chiamata in causa della presidente del Consiglio, autrice della deliberata strumentalizzazione) con cui ha scritto l’articolo sul “Manifesto”. Un tema che continuerà inevitabilmente a suscitare polemiche e discussioni che, per la piega assunta finora, non aiuteranno certo a un chiarimento e a un confronto serio, quanto mai necessari e urgenti. Sia sul piano storico, politico, culturale, (“Esso - il Manifesto di Ventotene - fu un punto di partenza in divenire che, nell’arco di ottantaquattro anni, ha ispirato e condotto all’attuale Unione Europea”) sia anche e soprattutto perché di strettissima attualità.
Intorno all’Unione Europea, anche alla luce degli stravolgimenti in atto, provocati prima da Putin e ora da Trump, occorre più che nel passato e con spirito nuovo e diverso lavorare e impegnarsi molto, “per tornare ad essere grandi”, come ci ricordava Roberto Benigni. Un discorso vibrante scandito in un palcoscenico sui generis con il sottofondo appena percepibile della musica di Piovani, nel suo inarrivabile monologo, trasmesso in Eurovisione la sera del giorno stesso in cui, la premier Giorgia Meloni, aveva finito il suo intervento alla Camera dei Deputati, caricato da enfasi e retorica, usando espressioni infelici distorcendo il vero, profondo significato che gli autori volevano attribuire al Documento.
Nato e maturato in quella condizione di restrizione fisica e psicologica e nel momento più buio della nostra storia, voluto e imposto dalle dittature nazifasciste di Hitler e Mussolini che, alleandosi, avevano scatenato la Seconda guerra mondiale nel Continente. Una riflessione, quella di Ventotene, che aveva l’obiettivo di costruire un’Europa libera e unita. Un lascito formidabile consegnato ai posteri da parte di Altiero Spinelli, a cui è dedicato un intero edificio nella sede del Parlamento europeo, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni.
A proposito di Benigni, quello che maggiormente mi ha colpito, non è stata solamente la coincidenza temporale, ma la parte del suo discorso dedicata all’elogio di quella ”utopia” in cui coglievo un so che di taumaturgico. Sono certo che questa mia impressione è stata condivisa dai cinque milioni di telespettatori, che lo hanno seguito per oltre due ore. Un messaggio destinato ad aprire un varco inedito nella discussione in corso. Specie in un momento di grande fermento, in cui sono in gioco la democrazia, la libertà, i diritti, la pace, la convivenza civile e sociale nel mondo. Roberto Benigni rivendica di essere “un europeista estremista, per poi sottolineare che l’Europa unita è l’unica utopia ragionevole.
Con l’avvertenza di non sottovalutare il nazionalismo (il sovranismo), male e causa di tutti i conflitti finora conosciuti per ricordandoci che la pace è in pericolo per il sopravanzare, in molte parti dei continenti, di regimi autarchici e illiberali. Lo spiega con un linguaggio e un afflato mille miglia lontano da quello cacofonico e volgare che circola in queste ore, anche nei talk televisivi. Lo fa ripercorrendo passo dopo passo la storia di tre millenni in maniera stupefacente. Su cui ci obbliga tutti, non solo a riflettere e a ragionare, ma anche ad agire e a unire tutte le forze autenticamente democratiche per compiere altri passi in avanti verso una compiuta realizzazione del sogno e delle promesse delle nostre madri e dei nostri padri di vivere nella democrazia e nella libertà. Per farlo occorre difenderci dalle insidie e dai propositi, interni ed esterni, palesi e occulti, da parte di coloro che vogliono relegare il nostro Continente all’irrilevanza e alla marginalizzazione.
Filippo Piccione