La sentenza relativa a un filone del processo scaturito dall'inchiesta "Corsa nostra" del 2018 ha portato a due condanne e tre assoluzioni. L'indagine aveva svelato come il clan mafioso di Resuttana avesse investito nelle corse dell'ippodromo, corrompendo fantini e guidatori, e ricavando persino più profitti rispetto al traffico di droga. Tra gli assolti figura anche Giuseppe Corona, tornato in libertà lo scorso novembre.
Le accuse e il verdetto
Secondo le rivelazioni dei collaboratori di giustizia, la criminalità organizzata avrebbe controllato le scommesse, garantendosi guadagni illeciti attraverso gare truccate. "Noi puntavamo, noi investivamo...", aveva dichiarato Vito Galatolo, ex esponente del clan dell'Acquasanta. Tuttavia, a quasi sette anni dall'inizio dell'inchiesta, per cinque imputati le accuse non hanno retto.
La quarta sezione del tribunale, presieduta da Bruno Fasciana, ha assolto Giuseppe Corona, Giovanni La Rosa, Antonio Porzio, Giuseppe Greco e Giovanni Niosi. Per gli ultimi due è rimasta valida solo la contestazione di intestazione fittizia di cavalli, che ha portato a condanne rispettivamente di 2 anni e 8 mesi e di 4 anni. Il tribunale non ha accolto le richieste di condanna avanzate dalla Procura, che oscillavano tra i 9 e i 13 anni di reclusione.
Il sistema illecito svelato dai pentiti
Le testimonianze di diversi collaboratori di giustizia hanno fornito dettagli sul sistema di corruzione legato all'ippodromo. Nel 2015 Manuel Pasta aveva spiegato ai magistrati che la gestione delle scommesse garantiva profitti elevati senza i rischi legati al traffico di droga. "Attraverso l'ippodromo si guadagnava senza il rischio di essere incriminati per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti".
I pentiti hanno raccontato di guadagni che potevano arrivare fino a 400 mila euro per una singola corsa manipolata. Alcuni fantini, per il loro ruolo nell’alterare i risultati, ricevevano compensi extra. Pasta ha anche rivelato che il mafioso Maurizio Spataro, prima di essere arrestato, riuscì a incassare 18 mila euro da una gara truccata, regalando poi scarpe di lusso ai complici.
Gli interessi della mafia sull'ippodromo
Nonostante le assoluzioni, le indagini precedenti hanno dimostrato come la mafia avesse un'influenza consolidata sull'ippodromo. L'operazione "Talea" del 2017 aveva già portato alla luce il coinvolgimento della criminalità organizzata nella gestione della struttura, portando alla chiusura dell'impianto per diversi anni. Nel 2021 l'ippodromo è stato affidato a una nuova società, la Sipet, ma ulteriori indagini hanno rivelato presunte pressioni mafiose anche in questa fase.
A gennaio, Massimo Pinzauti, dirigente della Sipet, è stato condannato a cinque anni per estorsione aggravata. Anche nell'ambito dell'inchiesta sull'ex consigliere comunale Mimmo Russo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, sono emersi elementi che confermano l’interesse della mafia sulle attività dell'ippodromo. Il caso dimostra ancora una volta come la criminalità organizzata sappia diversificare i propri investimenti, individuando nuovi settori per il riciclaggio di denaro e il controllo del territorio.