“Confermare la condanna all’ergastolo!”. E’ stata questa, stamane, in Corte d’assise d’appello, a Palermo, la richiesta del procuratore generale nel processo di secondo grado ad Ernesto Favara, 65 anni, ex pescatore di Castelvetrano, processato per l’omicidio della moglie Maria Amatuzzo. La donna, una ventinovenne palermitana, venne uccisa con 28 coltellate inferte in varie parti del corpo, nel pomeriggio del 24 dicembre 2022, nell’abitazione di Marinella di Selinunte che fino a poco tempo prima aveva condiviso con il marito. Il prossimo 17 marzo, interverranno i legali di parte civile e la difesa.
Nel processo si sono costituiti parte civile i familiari di Maria Amatuzzo, rappresentati dagli avvocati Vito Daniele Cimiotta e Francesca Di Matteo (il primo legale per il padre, Matteo Amatuzzo, la sorella Veronica e lo zio della vittima, la seconda per la madre, Loredana Maggio), e le associazioni “Demetra” e “Casa di Venere”, rappresentate dalle avvocate Marilena Messina e Roberta Anselmi. Legale dell’imputato è, invece, l’avvocato Margherita Barraco. Il processo di primo grado, svoltosi davanti la Corte d’assise di Trapani, si è concluso il 22 luglio dello scorso anno con la condanna del Favara alla pena dell’ergastolo. La Corte ha escluso la sola aggravante dei "motivi abietti e futili”, ma ha confermato la premeditazione.
Il “fine pena mai” era stato invocato dal pm della Procura di Marsala Stefania Tredici. Subito dopo il delitto, Favara venne arrestato dai carabinieri, per strada, vicino casa, mentre aveva ancora in mano il coltello sporco di sangue. Maria Amatuzzo, qualche mese prima di essere uccisa, aveva lasciato il marito (attualmente sotto processo, in Tribunale, a Marsala, anche per maltrattamenti familiari) ed era andata a vivere con un altro uomo, Liborio Cammarata. La vigilia di Natale 2022, la vittima sarebbe stata attirata dal Favara nell’abitazione di Marinella di Selinunte con un pretesto (“Vieni a prenderti il cappotto, io non sarò a casa”), ma quando entrò nel garage venne subito accoltellata.
Dall’autopsia è emerso che i fendenti sarebbero stati 28, inferti in varie parti del corpo. Tra le cinque aggravanti contestate dall’accusa, anche i “futili motivi” (gelosia), la premeditazione e la crudeltà, perché dopo avere inferto colpi letali continuava ad accoltellarla.