Un uomo che ha vissuto più vite, attraversando epoche e movimenti con un unico obiettivo: cambiare il mondo. Mauro Rostagno è stato un rivoluzionario, un giornalista, un sociologo, un militante. La sua storia straordinaria rivive nel documentario "Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo", in onda da oggi, 26 febbraio, alle 21.15 in esclusiva su Sky Documentaries e Now.
Una produzione Sky Original in due parti, con la sceneggiatura firmata da Roberto Saviano e Stefano Piedimonte e la regia di Giovanni Troilo. Un racconto che ripercorre l’intero percorso di Rostagno: dalla militanza politica nel ’68 alla fondazione di Lotta Continua, dalla sperimentazione culturale del centro Macondo alla spiritualità dell’ashram di Osho. Un viaggio che lo ha portato fino alla Sicilia, dove ha dato vita alla comunità terapeutica Saman, per il recupero dei tossicodipendenti. Ma è stato il suo impegno come giornalista d’inchiesta a Trapani a renderlo un bersaglio della mafia, fino all’omicidio avvenuto il 26 settembre 1988.
Un racconto tra verità e depistaggi
Rostagno è stato ucciso perché denunciava senza paura i rapporti tra mafia, politica e imprenditoria. Eppure, per anni la verità sulla sua morte è stata nascosta da depistaggi e mancate indagini. Solo nel 2014, dopo un lungo iter giudiziario, sono stati condannati i boss trapanesi Vincenzo Virga e Vito Mazzara, riconosciuti come mandante ed esecutore dell’omicidio.
Il documentario di Sky e Palomar, realizzato in associazione con Sky Studios, affronta questa storia con un approccio lineare, basato sulle testimonianze di chi ha conosciuto Rostagno. La voce della figlia Maddalena arricchisce il racconto, trasformandolo in un messaggio per le nuove generazioni.
Saviano: "Un uomo libero, che sapeva cambiare"
Roberto Saviano, autore e narratore del documentario, ha spiegato di provare un’ammirazione profonda per Rostagno, per il suo coraggio e la sua capacità di scegliere la felicità senza lasciarsi condizionare dal giudizio altrui. “Era un uomo che sapeva accettare il cambiamento senza perdere la propria coerenza", ha dichiarato lo scrittore.
Durante la conferenza stampa di presentazione, il regista Giovanni Troilo ha sottolineato come il documentario voglia restituire la complessità di Rostagno, mostrando le sue contraddizioni e la sua determinazione. Parole di stima anche da parte di Stefano Piedimonte, coautore della sceneggiatura, e di Carlo Degli Esposti, presidente di Palomar.
Un docufilm che celebra il coraggio e l’eredità di un uomo scomodo, che ha dato la vita per raccontare la verità. Da non perdere.
Maddalena Rostagno: "Mio padre? Odiava la mafia, ma non si prendeva mai sul serio"
In una intervista di qualche giorno fa a Repubblica la figlia Maddalena Rostagno racconta il padre e la difficile ricerca della verità sulla sua morte. Un’intervista che è anche un viaggio attraverso gli anni ’80 in Sicilia, la diffidenza della società, il peso dei depistaggi e la lotta contro chi ha tentato di infangare la memoria di suo padre.
"Ci tenevano a distanza: prima gli arancioni, poi i tossicodipendenti"
Maddalena Rostagno descrive l’infanzia trascorsa nella Comunità Saman, il centro di recupero per tossicodipendenti fondato dal padre: "Per la città di Trapani eravamo quelli strani. Prima una comunità di ‘arancioni’ legata all’esperienza dell’ashram di Osho, poi un luogo di tossicodipendenti, in un’epoca segnata dall’Aids e dalla paura del contagio. Ci tenevano a distanza". Un senso di isolamento che si è amplificato dopo l’omicidio del padre, avvenuto il 26 settembre 1988, e soprattutto dopo i 26 anni di depistaggi e infamie che hanno avvolto il caso.
"Ho ricostruito tutto: sapevo che la verità era stata nascosta"
Maddalena aveva 15 anni quando il padre venne ucciso. "Ricordo un funerale enorme. Io, piccola, in un angolo. Non sono neanche entrata in chiesa, ho voluto salutarlo da sola". Poi, con il tempo, ha iniziato a ricostruire la verità, leggendo tutti gli atti processuali: "So a memoria quello che ha dichiarato ogni testimone. All’inizio hanno provato a ‘mascariare’ la vittima, come spesso accade nei delitti di mafia, insinuando storie di donne inesistenti. Hanno contaminato la scena del crimine, hanno fatto sparire prove, hanno prelevato mia madre senza un verbale".
Anni in cui, invece di indagare sulla pista mafiosa, si è cercato di addossare il delitto alla “pista interna” alla Comunità Saman, arrivando addirittura a coinvolgere la madre, Chicca Roveri, poi risultata del tutto estranea. "Nel frattempo, chi era coinvolto nei depistaggi se l’è cavata: uno dei carabinieri è diventato generale, un altro è finito prescritto".
"Trapani ci ha sempre respinti: non ha voluto neanche seppellire mio padre"
Ancora oggi, Maddalena Rostagno parla con amarezza della città di Trapani. Il padre è sepolto a Valderice, perché il Comune non ha mai ritenuto opportuno assegnargli uno spazio al cimitero cittadino: "Mi ha stupito che Trapani abbia avuto il coraggio di costituirsi parte civile nel processo, quando per anni ha cercato di ignorarci". Stessa cosa per l’Ordine dei Giornalisti, che subito dopo il delitto ci tenne a precisare che Mauro Rostagno non aveva il tesserino da giornalista professionista. "Mi piace pensare che siano rinsaviti", commenta oggi Maddalena.
L'eredità di Rostagno: "Odiava la mafia, ma sapeva comunicare con leggerezza"
Mauro Rostagno non era un militante antimafia classico. Non era un opinionista, non era un professore, non era un "paladino" nel senso comune del termine. Sapeva arrivare dritto al cuore dei fatti, usando la televisione come strumento di denuncia e rendendo accessibile a tutti ciò che raccontava. "Roberto Saviano mi ha detto che se oggi ci fossero stati i social, mio padre li avrebbe usati con maestria. Parlava semplice, usava l’ironia, ma non era superficiale. Era bravo a entrare in empatia con le persone".
Non era un uomo che si prendeva troppo sul serio, ma faceva sul serio: "Era laureato in sociologia, divoratore di libri, eppure aveva una leggerezza unica nel raccontare le cose più drammatiche. Non usava la rigidità del militante, ma la semplicità di chi vuole farsi capire da tutti".
"Oggi nell’antimafia c’è chi coltiva interessi personali"
Maddalena Rostagno ha vissuto gli anni ’80 e ’90 in Sicilia, nel pieno della Primavera di Palermo, quando la società civile si ribellava dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. E oggi? "Allora c’era un fermento incredibile, oggi vedo troppa gente che usa l’antimafia per scopi personali. Per fortuna c’è ancora chi lavora dal basso, con ottimi risultati".
Un nome su tutti: Claudio Fava, che Maddalena cita con ammirazione. "Ma va detto che come nella mafia, anche nell’antimafia ci sono diverse sfumature. Oggi se mi definiscono ‘donna antimafia’ scappo. Preferisco dire che sono una donna delle pulizie. Ho passato la vita a togliere le palate di fango che hanno buttato addosso alla mia famiglia".