Quantcast
×
 
 
23/02/2025 14:00:00

Il caso Delmastro, "Non sparate sulla Croce Rossa"

 Non sparate sulla Croce Rossa. L'espressione è una metafora antica, usata per indicare comportamenti meschini, proprio come quello di chi attacca soccorritori innocui e disarmati, impegnati esclusivamente a salvare vite umane.

Il sottosegretario di Stato alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove, avvocato, è stato condannato a otto mesi per rivelazione di segreto d’ufficio nel caso Cospito. L’accusa riguarda la divulgazione di documenti riservati al collega di partito e coinquilino Giovanni Donzelli, contenenti le trascrizioni dei colloqui tra l’anarchico Alfredo Cospito e alcuni boss della camorra e della ‘ndrangheta detenuti al 41 bis. Questi ultimi lo incoraggiavano a proseguire lo sciopero della fame contro il regime di carcere duro.

Successivamente, Donzelli ha utilizzato quei documenti in un attacco al Partito Democratico, chiedendo in Aula: "State con i terroristi e la mafia?".

Dal punto di vista giuridico, la questione si concentra sull’elemento soggettivo del reato, ossia la volontà di Delmastro di violare il segreto d’ufficio. Era consapevole della natura riservata di quei documenti, oppure riteneva che fossero accessibili, se non a tutti, almeno ai parlamentari? La Procura ha escluso il dolo e aveva chiesto l’assoluzione, evitando di "sparare sulla Croce Rossa". Tuttavia, il Tribunale di Roma ha ritenuto che Delmastro fosse pienamente cosciente delle sue azioni.

Questa vicenda non è l’unica che ha visto protagonista il sottosegretario. Nel caso dello sparo di Capodanno, che ha portato al rinvio a giudizio del deputato Emanuele Pozzolo, Delmastro ha dichiarato ai PM: "Ero fuori dal locale a fumare, ho sentito il colpo. La scorta? Non era con me". Peccato che la protezione a cui ha diritto debba essere garantita in ogni momento, eppure in quell’occasione venne meno.

Un altro episodio controverso risale all'estate scorsa, quando visitò due carceri incontrando gli agenti di polizia penitenziaria, ma non i detenuti. Alla domanda sul perché, rispose di non voler "inchinarsi alla Mecca dei detenuti".

Infine, in occasione della presentazione di un nuovo mezzo per la polizia penitenziaria, affermò con enfasi: "È un’intima gioia far sapere che non lasciamo respirare chi sta dietro il vetro oscurato nell’auto della penitenziaria".

Ora si attendono le motivazioni della sentenza e l’annunciato ricorso. Tuttavia, una cosa è chiara: Andrea Delmastro non può essere paragonato alla Croce Rossa. Nei tre episodi citati, il suo operato si è mosso ben lontano dai principi di neutralità e tutela.

Questa vicenda solleva, ancora una volta, il tema della magistratura e della separazione tra funzione requirente e giudicante, un principio che lo stesso Delmastro ha più volte definito fondamentale. Ma non è necessario scomodare il mugnaio Arnold di Bertolt Brecht né recarsi a Berlino in cerca di un giudice: a Roma si è già manifestata l’indipendenza tra queste due figure giuridiche. Tuttavia, è evidente che questa sentenza non si adatta alla narrazione politica che dipinge una presunta "collusione" tra i due organi.

Vittorio Alfieri