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21/01/2025 06:00:00

Un deputato regionale è quattro volte più ricco di un trapanese medio

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Un deputato regionale è quattro volte più ricco di un trapanese medio. La provincia di Trapani è costantemente in fondo alle classifiche Istat sui redditi medi pro capite, insieme alle altre province siciliane e del Sud Italia. Ma per i deputati regionali le cose vanno meglio. 

Il divario economico tra i cittadini della provincia di Trapani e i loro rappresentanti all’Assemblea Regionale Siciliana (ARS) emerge chiaramente dalle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2024, relative all’anno fiscale 2023. Un cittadino della provincia di Trapani, con differenza da comune a comune, dichiara un reddito annuo di 19.348 euro in media, mentre un deputato regionale in Sicilia arriva a 82.360 euro, più di quattro volte tanto. Per i deputati regionali eletti nel Trapanese, il reddito medio è leggermente inferiore, attestandosi a 70.255 euro, ma resta comunque molto distante dalla media dei cittadini che rappresentano.

 

 

I deputati regionali più ricchi
Tra i deputati regionali siciliani spiccano alcune figure con redditi particolarmente elevati. Cateno De Luca guida la classifica con 710.193 euro dichiarati, seguito da Nicola D’Agostino con 226.005 euro e Gianfranco Micciché con 191.275 euro.  

Anche tra i deputati regionali trapanesi si registrano redditi molto superiori alla media provinciale. Stefano Pellegrino dichiara 138.263 euro, seguito da Dario Safina (90.203 euro) e Mimmo Turano (82.071 euro). Più contenuti, invece, i redditi dichiarati da Giuseppe Bica (20.574 euro) e Cristina Ciminnisi (20.168 euro, relativi però al 2022, dichiarati nel 2023). Questo dimostra un’ampia eterogeneità tra i rappresentanti del territorio, pur restando la loro media nettamente superiore a quella della popolazione generale.

 

Le disuguaglianze economiche in Italia: il rapporto Oxfam
I dati sui redditi dei deputati siciliani si inseriscono in un quadro di crescente disuguaglianza economica a livello nazionale, come evidenziato dal rapporto Oxfam 2025. Il documento sottolinea come il 10% più ricco delle famiglie italiane possieda oltre otto volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. Questo divario si è ampliato costantemente negli ultimi quattordici anni: dal 52,5% del 2010, la quota di ricchezza detenuta dal 10% più ricco è salita al 59,7% nel 2024. Nello stesso periodo, la quota del 50% più povero è scesa dal 8,3% al 7,4%.

Questa concentrazione della ricchezza è ancora più evidente considerando che il 5% più ricco detiene quasi la metà (47,7%) della ricchezza nazionale. Ancora più ristretto è il gruppo dello 0,1% più abbiente, che ha visto crescere il proprio patrimonio del 70% tra il 1995 e il 2016, con rendimenti sui patrimoni quasi doppi rispetto a quelli del restante 90% degli italiani.

Povertà e stagnazione salariale
Il rapporto Oxfam evidenzia anche come in Italia la povertà assoluta abbia raggiunto livelli preoccupanti: nel 2023, 5,7 milioni di individui (2,2 milioni di famiglie) vivevano in condizioni tali da non poter acquistare beni e servizi essenziali. L’incidenza della povertà assoluta è rimasta invariata al 9,7%, con un aumento lieve ma significativo a livello familiare, dall’8,3% all’8,4%. Questo scenario si è aggravato a causa dell’inflazione e della contrazione del potere d’acquisto, nonostante un’apparente ripresa occupazionale.

Il mercato del lavoro italiano soffre ancora di debolezze strutturali. I salari medi reali non sono cresciuti significativamente negli ultimi trent’anni, e tra il 2019 e il 2023 il salario reale ha subito una contrazione di oltre 10 punti percentuali a causa dell’inflazione. Questo ha reso ancora più evidente il divario tra le retribuzioni e il costo della vita, aggravando la precarietà e la discontinuità lavorativa, soprattutto tra giovani e donne. 



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