Due anni fa, il 16 gennaio 2023, l’Italia si risvegliava con una notizia attesa da decenni: dopo 10.820 giorni di latitanza, il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro veniva arrestato nella clinica La Maddalena di Palermo. Una data che resterà scolpita nella memoria collettiva come una pietra miliare nella lotta alla mafia. Matteo Messina Denaro, latitante dal 2 giugno 1993, era ricercato per un elenco impressionante di crimini, tra cui la sua complicità nelle stragi del 1992 che costarono la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
L’arresto: una mattina storica
Quel lunedì mattina, alle ore 9, il blitz dei carabinieri del ROS nella clinica "La Maddalena" di Palermo ha messo fine alla fuga del boss. Era lì per sottoporsi a una chemioterapia, celato dietro il falso nome di Andrea Bonafede, un geometra residente a Campobello di Mazara. Nonostante abbia tentato di fuggire all’arrivo dei militari, Messina Denaro è stato fermato senza opporre resistenza. Tra gli elementi decisivi per la sua cattura, le indagini sui malati oncologici che avevano permesso di restringere il campo fino a identificarlo. L’operazione, condotta senza l’aiuto di collaboratori di giustizia, rappresentava il culmine di anni di lavoro certosino da parte degli inquirenti.
La rete dei fiancheggiatori
Le indagini dal 1993 hanno fatto terra bruciata attorno a Messina Denaro, portando agli arresti di suoi fedelissimi come sorelle, cognati e il fratello. Le complicità però che ancora oggi rimangono misteriose sono quelle fuori dalla cerchia famigliare. Quel che è risaputo, ha spiegato allora il procuratore De Lucia, è che «fette della borghesia» a lungo hanno fatto parte della rete di favoreggiatori, quindi professionisti inseriti in diverse realtà della società siciliana.
Il medico interrogato
Un primo interrogatorio è emerso per esempio per il dottore di Campobello di Mazara, in provincia di Trapani, Alfonso Tumbarello (poi arrestato e ora sotto processo), che risulta sia stato il medico di base di Andrea Bonafede, cioè Matteo Messina Denaro. È stato lui a mettere nero su bianco la diagnosi che ha portato il boss al reparto di Oncologia della clinica Maddalena a Palermo, dopo l’operazione subita all’ospedale di Mazara del Vallo. Al setaccio degli inquirenti ora sono i passaggi che hanno portato il boss dal medico, quando sono cominciati i loro rapporti e se il dottore fosse a conoscenza o meno della vera identità del suo paziente.
Andrea Bonafede
Andrea Bonafede, nato a Campobello di Mazara il 23 ottobre del 1963. Eccola, la carta di identità di Matteo Messina Denaro, alias Andrea Bonafede (condannato a 14 anni di carcere) il nome falso scelto nella latitanza. Il boss era residente a pochi km dalla sua città natale, Castelvetrano, a Campobello di Mazara, in via Marsala 54. Di professione, si legge nella carta di identità, 'geometra'. E' alto 1,78, calvo e con gli occhi castani. Segni particolari "nessuno". La tessera, cartacea, è stata emessa l'8 febbraio 2016 e scade il 23 ottobre del 2026. E tra i documenti presentati in clinica e nelle strutture sanitarie da Messina Denaro, c'è anche una tessera sanitaria in scadenza il 22 ottobre 2025. Dai documenti sanitari, invece, si vede che lo scorso due gennaio 2023 ha effettuato dei controlli, presso il reparto di Chirurgia dell'ospedale San Vito e Santo Spirito di Alcamo.
Le reazioni
Subito dopo l’arresto, esplose la gioia in Sicilia e in tutto il Paese. A Castelvetrano, città natale di Messina Denaro, cittadini e autorità locali si radunarono per manifestazioni spontanee. Il sindaco Enzo Alfano dichiarò: "È la fine di un incubo, l’inizio di una nuova era per la nostra comunità." Sui social, parole di sollievo e orgoglio si moltiplicarono, con personalità come l’ex presidente del Senato Pietro Grasso e il regista Giuseppe Cimarosa – cugino alla lontana del boss – che sottolinearono l’importanza di questo evento come vittoria dello Stato e della giustizia.
Due anni dopo: un’eredità complessa
Dopo l’arresto, Messina Denaro fu trasferito nel carcere di massima sicurezza de L’Aquila, dove ricevette cure per il tumore al colon che lo affliggeva. La malattia lo condusse alla morte il 25 settembre dello stesso anno, ma non prima che emergessero dettagli sulla rete di protezione che lo aveva aiutato a sfuggire alla giustizia per tre decenni. In questi due anni, le indagini hanno portato a numerosi arresti tra i suoi fedelissimi e i membri della Famiglia Bonafede, centrale nel suo supporto logistico. Le forze dell’ordine hanno continuato a smantellare la rete di connivenze.
I diari, le foto, gli interrogativi senza risposte...
Il 16 gennaio 2023 non è stata solo la data della cattura di un criminale, ma un momento di svolta nella percezione della lotta alla mafia. La cattura di Messina Denaro ha segnato la fine dell’era dei grandi capi stragisti di Cosa Nostra, lasciando in piedi unicamente il “sentire mafioso,” una cultura ancora radicata ma sempre più isolata. Due anni dopo c'è la consapevolezza che la lotta alla mafia è tutt’altro che conclusa. La scoperta dei "diari" di Matteo Messina Denaro rivela un documento complesso e manipolatorio, in cui il boss mescola verità e falsità per confondere il lettore. Attraverso una retorica grezza ma efficace, il mafioso affronta temi personali e universali, dalla famiglia alla giustizia, fino alla religione e alla violenza. Un elemento ricorrente è la sua ossessione per la figlia Lorenza, che per anni ha rifiutato di vederlo. Questi documenti forniscono una prospettiva unica sulla sua mente e sulle dinamiche interne di Cosa nostra, pur lasciando molti interrogativi aperti. A due anni dal suo arresto, i frammenti della sua vita — tra foto, scritti e ricordi — delineano un personaggio complesso, tra potere, ferocia e il desiderio narcisistico di lasciare un’impronta emotiva nella memoria della figlia e della società. A due anni dall’arresto del boss a Palermo, rimangono però molti interrogativi sulla sua latitanza e sulle sue relazioni personali che hanno contribuito a favorirla.