Il cartello alla fine è stato rimosso. Quel cartello. Quello con gli strafalcioni, che ha fatto ridere mezza Italia. Agrigento, la capitale italiana della Cultura per il 2025, che si presenta al mondo con due errori grammaticali in tre righe: “Valle di templi”, “Contrata”, e giù risate, imbarazzo. Immagini che diventano virali sui social. Meme. Alla fine, il cartello non c’è più. Tra poco spunterà quello corretto, si spera.
Ne hanno parlato tutti, nell’ozio dei giorni natalizi, di quel cartello, dell’ironia delle cose di Sicilia. Agrigento capitale della cultura, un titolo pirandelliano, nella città agli ultimi posti per la qualità della vita in Italia: novantaseiesimo posto su centosei province in generale, ma ultima, alla posizione centosei, come indice di lettura dei suoi abitanti, secondo il Sole 24 Ore.
Ma quello che non si vede è ciò che c’è dietro. Degli altri cartelloni sbagliati, ad esempio. Che non fanno più notizia perché ci sono da così tanto tempo che uno ormai si è abituato. Il sindaco di Agrigento, Franco Miccichè – per la cui serenità la Regione Sicilia ha deciso perfino le elezioni amministrative previste quest’anno – dice che non è competenza del Comune, ma dell’Anas (vero), e che si tratta di una scusa per attaccare Agrigento sulla base di una polemica sterile. Ma dimentica che Agrigento, che accoglie ogni anno due milioni di turisti, ha una segnaletica vecchia, sbagliata. Qui non c’entra l’italiano, ma la logica. Cartelloni stradali sbiaditi, alcuni vecchi più di mezzo secolo. In una città senza aeroporto, senza autostrada, e con il trasporto ferroviario che è quello che è, ci sono lavori interminabili sulla principale Strada Statale, la 640, che porta in città, e la segnaletica che accompagna gli automobilisti per i percorsi alternativi è a dir poco avventurosa.
Chiunque passi da Agrigento sa che il colore dei cartelloni stradali non è il classico blu ma il giallo dei lavori in corso, delle strade senza uscita, della segnalazione dei cantieri. Che aprono, e non si sa mai quando terminano. Come il caso del Ponte Maddalusa, fermo da oltre quattro anni. Da altre parti il ponte, che non è né quello di Brookliyn né il Ponte sullo Stretto (a proposito, il 2025 è stato proclamato dal ministro Matteo Salvini come l’anno della prima pietra) sarebbe stato demolito e rifatto in breve tempo. I lavori per questo ponte, largo ottanta metri, meno di un campo da calcio, sono iniziati nel 2018. L’importo dei lavori è di due milioni e mezzo di euro circa. E, nel suo piccolo, il ponte, che è uno dei punti principali di ingresso ad Agrigento, è un concentrato di cattiva politica e pessima amministrazione: soldi che non ci sono, lavori partiti in ritardo, gara, impresa inadempiente, nuova gara, varianti. Secondo quanto dice l’Assessore Regionale ai Trasporti Alessandro Aricò, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, durante questi sei anni si sono fatti su quel ponte trecentocinquantadue interventi urgenti. Le comunicazioni ai cittadini sulle continue deroghe sono affidate a un foglio A4 attaccato con delle fascette alla recinzione del cantiere – quella maglia arancione di plastica che ad Agrigento è da sempre elemento dell’arredo urbano meglio e più dei templi – e infilato in una busta trasparente, per proteggerlo dalla pioggia. È scritto però in italiano corretto. E tanto basta.
E mentre altrove rotatorie e incroci sono aiuole spesso ben curate e armoniose, qui diventano trappole, infestate da sterpaglie, con pali degradati.
Ci sono anche queste emergenze nell’agenda della “cabina di regia” creata per gestire gli eventi di Agrigento Capitale della Cultura. Un anno di festa vissuto con l’approccio di chi va a fare una spedizione militare. Non c’è entusiasmo, solo tanta tensione. Al momento, in attesa che il 13 gennaio i sindaci dei comuni interessati (il programma coinvolge tutta la provincia, anche Lampedusa) facciano le loro proposte su come migliorare viabilità e parcheggi, si è preso atto che è partita la campagna di comunicazione “Lasciati abbracciare dalla Cultura” con poster giganti nelle principali stazioni italiane e in tv. Il tutto finanziato dalla Regione Sicilia, che in questo complicato affare sta investendo generose risorse economiche. Solo la promozione costa 1,3 milioni di euro. Il famoso concerto del Volo, registrato nella calura agostana ma con gli spettatori obbligati agli abiti pesanti, perché è stato trasmesso a Natale, mezzo milione di euro. Già sono stati impegnati quattro milioni di euro, che vanno dalla pianificazione pubblicitaria fino al “Ricordo di Domenico Modugno” a cura di Beppe Fiorello (sessantamila euro).
Ma la data segnata in rosso sul calendario è vicinissima: il 18 gennaio la città accoglierà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Da lì in poi non si può più tornare indietro.
Intorno c’è tutta una partita politica. Da quando è stato inventato, dall’allora ministro della Cultura Dario Franceschini, l’astruso titolo di “capitale italiana della Cultura”, Agrigento è la prima città amministrata dal centrodestra a vincere. Non si può sbagliare. Al momento però manca ancora il programma (verrà presentato il 14 gennaio alla presenza del ministro Alessandro Giuli, a Roma) e tutto procede tra ritardi e ulteriori lungaggini burocratiche che la creazione di una macchinosa Fondazione ad hoc non ha risolto.
Ci sono voluti ad esempio ben otto mesi per l’approvazione proprio dello statuto della Fondazione, da marzo 2023, quando è avvenuta la proclamazione. Niente male se si considera che il dossier di candidatura presentato al ministero e risultato vincitore prevedeva opere (in corso o da realizzare) per un totale di quasi centocinquanta milioni di euro. Un Pnrr nel Pnrr. Ma fino a pochi giorni fa non c’era neanche il logo. O meglio, si è scoperto che quello che c’era, e che era stato utilizzato in tutta la comunicazione degli ultimi due anni, che rappresentava l’immagine del Talamone, non era di proprietà del Comune. Da qui il cambio del logo e di tutta l’immagine coordinata.
Non sono migliori i presagi per l’altra capitale, Gibellina, che nel 2026 sarà la prima “capitale italiana dell’arte contemporanea”. Anche in quel caso, passata la festa, cominciano i problemi e le polemiche. Dopo nove anni, si è dimesso Calogero Pumilia, presidente della Fondazione Orestiadi, motore del progetto e tra le principali istituzioni culturali siciliane. Tutto è degenerato dopo la vittoria del titolo: “In questa terra di Sicilia – denuncia Pumilia – spesso si è molto bravi a trasformare un’opportunità in un’occasione di rissa banale e volgare”.
Ma andrà tutto bene, si spera, e Agrigento si riempirà di turisti. Nel dossier di candidatura è previsto l’arrivo di almeno duecentocinquantamila visitatori in più, cioè il venticinque per cento di turisti in più rispetto al milione degli ultimi due anni. Ai quali poi, però, come già accaduto quest’anno, bisognerà spiegare in tante lingue come mai non c’è l’acqua nei bagni delle loro stanze, ma anche – come abbiamo raccontato in queste pagine – quali sono i migliori suggerimenti per non sprecarne neanche una goccia. E va bene, con certi cartelli in giro, bisognerà pure spiegare come arrivare ad Agrigento senza perdersi.