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06/01/2025 08:45:00

Gli auguri di Zichichi, la scienza e la speranza

 Caro direttore di Tp24,

dopo aver letto con attenzione sul suo giornale il messaggio augurale di buon anno di Antonino Zichichi, desidero associarmi ai numerosissimi like inviati dai lettori del suo giornale. “Un messaggio di scienza, affetti e speranza”, che ha altresì il pregio di indurre a riflettere su un passaggio storico e culturale assai complicato che stiamo attraversando nel nostro tempo. Quando ho letto che lo scienziato trapanese unisce il suo pensiero all’impegno incessante della sua vita - che è “la ricerca delle leggi di Colui che ha fatto il mondo” - mi è tornato alla memoria un libro pubblicato nel 2008, La variabile Dio (Longanesi) di Riccardo Chiaberge. Un saggio che mette a confronto due celebri scienziati di fama internazionale. George Coyene, il quale afferma che “La mia ricerca scientifica è preghiera e sto cercando di capire un universo creato da Dio che mi ama”; e Arno Penzias che, invece, sostiene il contrario: “Io credo che abbiamo dei corpi fisici. Soltanto fisici. Se abbiamo un’anima essa coincide con l’altruismo incastonato nel nostro DNA”. Si tratta di due modi divergenti di comprendere l’universo e di conseguenza una visione filosofica ed etica della vita radicalmente differente. Il Nobel, che non crede nell’esistenza di Dio e dell’anima e il gesuita, che considera il lavoro scientifico inseparabile dalla preghiera e dal rapporto diretto con il Creatore. Un concetto sostanzialmente simile a quello, “che tocca il cuore”, espresso dal professor Zichichi. Tuttavia è da rilevare che entrambi i compagni di viaggio di Chiaberge, nonostante la distanza siderale che li separa, si sono trovati d’accordo almeno su un punto: l’urgenza di trovare un fecondo dialogo che superi fondamentalismo e ateismo dogmatico. Nel senso che fede e scienza non sono incompatibili e che devono rispettarsi a vicenda, come due sfere autonome di pensiero capaci di rendere la ricerca non vincolata da condizionamenti ideologici e religiosi. Che, a rigor di logica e sulla base della comune posizione assunta dai due scienziati, fede e libertà, dovrebbero andare d’accordo. Ma l’esperienza ci dice che non è così. Lo stesso San Tommaso d’Aquino, che non è proprio l’apostolo del dubbio, aveva comunque cercato di avvicinare scienza e fede attraverso la “doppia verità”. Ma il suo tentativo fallì. Anche Sant’Agostino aveva provato ad avvicinare fede e scienza, ma la Chiesa, come ha dimostrato con le condanne di Galileo Galilei e di Giordano Bruno, non ha mai preso in considerazione.

Conciliare il concetto di evoluzione con quello della creazione, continua ad essere ancora una strada impervia. Bisognerebbe percorrerla con maggiore convinzione e urgenza. Questo incoraggerebbe nuove scoperte, indispensabili, tanto nella vita personale quanto nel mondo della scienza, così come, con lucida lungimiranza ci ricordava Zichichi nel suo messaggio augurale per il nuovo anno. Al di là degli auspici, resta però da sapere quanto tempo serve ancora per arrivare a rendere compatibili le due sfere di influenza e di pensiero. Quello che sappiamo, è che ci sono voluti tre secoli e mezzo, prima che la Chiesa di Giovanni Paolo II - che qualcuno, a ragione, ha definito il gigante della fede - intervenisse con un discorso tenuto davanti alla Pontificia Accademia delle Scienze. Fu un atto epocale quello che il Papa adottò il 31 ottobre 1992 cancellando ufficialmente la condanna inflitta con una sentenza “ingiusta” emessa dal Sant’Uffizio nel 1633 nei confronti di Galileo Galilei, il padre della fisica moderna, per le sue tesi scientifiche basate sulla “Rivoluzione copernicana”, grazie alla quale fu ribaltato il sistema concettuale geocentrico, sino ad allora universalmente accettato.

La decisione di papa Wojtyla di riaprire il caso, con l’istituzione di una commissione pontificia per lo studio della controversia tolemaico - copernicana del Cinque e Seicento, il 3 luglio 1981, mirava, oltre che a stabilire la verità storica e a fare ammenda delle colpe della Chiesa, anche a strappare questa bandiera all’arsenale della propaganda anticlericale. Nel discorso tenuto davanti alla Pontificia Accademia delle Scienze per le celebrazioni di Albert Einstein fu affrontato il dramma dello scienziato pisano, che risale al novembre 1979.

Il premio Nobel per la Fisica del 1921 fu assegnato ad Albert Einstein. Di lui voglio citare un passo contenuto in un suo famoso articolo scritto appositamente per Saturday Evening Post, il 26 ottobre 1929. “Tutto è determinato da forze sulle quali noi non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri, gli esseri umani, i vegetali, o la polvere cosmica. Tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa suonata in lontananza da un pifferaio invisibile”. Mi pare che la maniera più congrua per concludere questa nota possa essere così formulata: “L’esperienza più bella che possiamo avere è il senso del mistero. E’ l’emozione, la culla fondamentale della vera arte e della vera scienza. Chi non lo sa e non può più meravigliarsi, è come colui che è morto o ha gli occhi e la mente offuscati".

Filippo Piccione 



Lettere & Opinioni | 2025-01-06 08:45:00
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