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06/01/2025 10:09:00

Salemi. Chiude la mostra di La Monica, ma i suoi "segni" resteranno indelebili

Dopo due settimane chiude la mostra pittorica dal titolo “Segni” di Carlo La Monica, l’artista-artigiano di Gibellina, tra gli ultimi principali testimoni del progetto di ricostruzione umano e culturale del centro del Belice, non a caso, la prima città italiana a fregiarsi del titolo “Capitale italiana dell’Arte contemporanea per il 2026” con il progetto “Portami il Futuro” .

Ad organizzare la manifestazione artistica a Salemi, Leonardo Timpone, titolare della galleria “Grandangolo” in pieno centro storico, e fotografo noto in Sicilia per avere a sua volta allestito numerose esposizioni delle sue creazioni visive e pubblicato alcuni volumi delle sue opere.

Il “Futuro” dello scultore-pittore La Monica, prima ancora di rivestire il ruolo di assistente tecnico per la costruzione delle macchine sceniche per le Orestiadi di Toti Scialoja, Pietro Consagra, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, affonda le proprie radici in un lontano passato nella fucina di un mitico Efesto, un fabbro dell’antico paese. 

E’ tra le pareti annerite di questo luciferino antro che il giovane apprendista Carlo comincia  a percepire la fucina come un luogo misterioso, quasi sacro,  dove il metallo si trasforma da solido a magmatico e poi di nuovo solido. 

Intuisce che dietro la magica metamorfosi  del metallo si nasconde la poetica senza tempo di un linguaggio ancestrale eternamente presente tanto a cui congeniale.

Quei segni che indicavano  abituali e giornalieri annotazioni, calcoli, appunti incisi con un appuntito arnese si animavano  per effetto delle lingue di fuoco danzanti  che si riflettevano sulla dirimpettaia grande parete nera.

Il fuoco, l’elemento primordiale che alimenta l’inesauribile desiderio inconscio di ogni artista, trasmetterà al maestro La Monica la febbre della ricerca  e  della conoscenza che si materializzerà nel corso di questi lunghi anni in perenni “segni”.  Senza soluzione di continuità diventeranno la sua ossessione espressiva. 

Durante il nostro incontro ci confidava che era in grado di ricoprire tutte le pareti della galleria con  “segni” che quella nostra conversazione gli stavano scatenando. 

Una produzione artistica poliedrica, la sua,  che va dalla pittura alla scultura, alle  arti applicate: acrilici su tela, disegni, il plastici di pere architettoniche, come quella della Chiesa della Madonna delle Grazie di Gibellina, o la riproduzione di scorci di una realtà che il terremoto aveva distrutto in una notte come il vecchio municipio, il teatro, il palazzo baronale, il castello, la chiesa madre. 

L’esperienza vissuta dall’uomo La Monica, unica e rara, caratterizzata da un continuo e irripetibile sodalizio con i tanti artisti venuti a “creare”  in Sicilia una città d'arte, ha forgiato l’artista La Monica, forse coerentemente con il suo passato di fabbro, ad esprimersi in forme apparentemente “infantili”  prive di significato,  ma tanto  dirompenti per l’osservatore.

"Sin da piccolo frequentavo la bottega del fabbro Raffaele Andrea - racconta - e lì ho imparato a lavorare il ferro. Ma, allo stesso tempo, ero incuriosito da palazzi antichi e chiese. Ricordo che di fronte la bottega c'era la chiesa del Carmine e chiesi al parroco informazioni sulla storia". 

Quelle nozioni acquisite gli serviranno molti anni dopo per la costruzione di un plastico dove “rinascono”  Santa Caterina, li cannola, lu chianu di la chiesa, santa Nicola, piazza Sant'Eligio. I luoghi dell’infanzia, dei primi affetti, della formazione.

Dopo l’onda distruttrice del terremoto del 1968  i ricordi del sisma, nonostante gli anni, non sono scomparsi: Carlo La Monica , in sintonia con il paese, ma trovato  nell’ arte è stata la via del riscatto personale.
 

Frequenta l'Istituto d'arte di Mazara del Vallo diplomandosi brillantemente. Raffina la sua tecnica aggiungendo alla passione tecnica e consapevolezza per modellare tutti i materiali come il ferro, il tufo, il marmo, il legno. 

Fu Ludovico Corrao a offrigli le migliori opportunità  affidandolo ad  Arnaldo Pomodoro, Pietro Consagra, Mimmo Paladino, Joseph Beuys. 

Per realizzare le proprie opere questi maestri erano di casa nel garage-laboratorio di La Monica. Qui gli sottoponevano bozzetti e disegni che da lui poi venivano trasformate in opere d'arte contemporanea.

Chiunque avesse la possibilità di visitare la cittadina quando vedrà  l'Aratro di Pomodoro, la scultura 'Tensioni' di Salvatore Messina, le 'Frecce' di Emilio Isgrò (al MAC), il cavallo di rame di Paladino, la 'Città di Tebe' di Consagra, saprà che in quelle opera aleggia anche la sua maestria.  

Due anni fa ha donato al Comune di Gibellina un plastico, su scala 1:100, la riproduzione esatta dell’antico centro con tutte le vie, le case, i palazzi, le chiese, i cortili e finanche i dislivelli dei terreni, realizzati col polistirene e legno.
Un’ opera “colossale”, con 400 immobili ricostruiti, la prima nel suo genere, realizzata dopo tanti anni di studio e raccolta di documenti. Un lavoro immane che ha permesso il recuperato di antiche foto, cartografie, tutto ciò che ritraeva l'antico paese di Gibellina prima che il terremoto distruggesse tutto. 

Una biografia quella di Carlo La Monica ricca e multiforme: dopo avere lavorato per molto tempo come fabbro, venne  assunto dalle Ferrovie dello Stato come macchinista. Ma sempre “divorato” dalla passione per l’arte, fin dalla scuola media era attratto dal disegno, sempre la matita in mano a realizzare schizzi. Cosa che continuò a fare anche durante il lavoro di macchinista che gli permetteva per i turni lunghe pause durante le quali poteva fissare ricordi ed emozioni. 

 

Un artista poliedrico Carlo La Monica, che non finisce mai di stupire. 

Ha cominciato con la pittura figurativa per poi concentrarsi sull’astrattismo, sulla scultura e sulle tecniche grafiche, ma sempre coerente e legato ai ricordi in bianco e nero (i ricordi, dice lui, non sono mai a colori) della vecchia Gibellina. 

 

Sa  lavorare con qualsiasi materia: dal legno all’acciaio, dall’acciaio al bronzo, ma La sua ricerca artistica rimane e rimarrà sempre legata al valore del segno.

 

All’inizio furono gli  Archetipi, impronte come quelle di una ruota o di una scarpa lasciate sulla sabbia e non più esistenti. Tutta l’arte di Carlo La Monica ha origine da questi “segni”. 

 

Franco Ciro Lo Re

 



EA2G | 2024-12-23 14:54:00
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