‘Meglio morta che sposata a lui ’, disse la ragazza rapita dall'ex fidanzato quando venne ritrovata dai carabinieri.
Ad un anno esatto dal rapimento ad Alcamo di Franca Viola un caso analogo avvenne anche a Salemi.
Stesso periodo natalizio, stessa tecnica di rapimento, stesse motivazioni ma con destino diverso. Diversa la memoria riservata alle due vicende.
Se dell’episodio di cui si rese protagonista la donna alcamese e’rimasto in tutti questi anni vivo il ricordo, elevato a simbolo di emancipazione femminile (il presidente della Repubblica Napolitano nel 2014 la insignì dell’alta onorificenza di Grande Ufficiale), su quello di Salemi invece si eresse, dopo qualche settimana, una incomprensibile cortina di silenzio e che dura fino ai giorni nostri.
Oggi, nessuno sa o ricorda. E se ricorda non ne vuole parlare, sebbene siano passati 58 anni, oltre mezzo secolo...
Eppure, sin dalle prime ore, le piu’ importanti testate giornalistiche nazionali, dal Corriere, alla Stampa e l’Unita’, diedero un grande risalto al caso.
Per diversi giorni i corrispondenti locali dei quotidiani trattarono la vicenda dettagliatamente, e tutti l’associarono a quella del giorno di Santo Stefano, l’anno prima ad Alcamo, citta’della stesa provincia ad appena trenta chilometri di distanza.
Con grandi titoli la mattina dopo i giornali scrissero: “La vicenda di Franca Viola si ripete quasi identica in un altro episodio avvenuto ieri sera a Salemi” .
Tutti concordi nel giudicare rivoluzionario il comportamento di Mattea come secondo esempio, dopo quello della Viola, di una Sicilia che cambiava.
La stessa cosa pero’ non avvenne per l’opinione pubblica locale. Ad eccezione di qualche frequentatore del circolo universitario che qualificava anacronistico il comportamento del rapitore, gli altri interpellati restavano muti e solo qualche donna rispondeva con un’altra domanda: “Come si permette questa donna a rompere un fidanzamento?”.
In maggioranza preferirono pensare all’ennesima “fuitina”. Tutto concordato tra i due, sentenziarono con grande sicumera.
Ma grande fu la loro delusione quando la stampa riferì che invece si trattava di un rapimento e che la donna rifiutava il matrimonio riparatore.
Una cosa e’ certa. L’episodio rapidamente precipitò nell’oblio.
LA STORIA
Siamo a Salemi, cittadina elima del Vallo di Mazara in provincia di Trapani. E’ il 19 dicembre del 1966. Il terzo lunedì del mese, mancano cinque giorni a Natale. Il calendario cattolico festeggia la martire Fausta, in latino “Propizia”, ma non lo sarà per la protagonista della storia che raccontiamo.
L’orologio della piazza Liberta’ ha da poco suonato le due del pomeriggio. Il cielo e’ azzurro con qualche soffice nuvola bianca. La strada avvolta d un surreale silenzio.
Due donne, una madre e la figlia ventiduenne, stanno scendendo lungo la via Antonino Lo Presti, l’arteria che collega il centro storico al quartiere Cappuccini. Devono raggiungere l’abitazione in via San Leonardo, in periferia.
La rarefatta atmosfera natalizia, all’improvviso, viene infranta da un fastidioso stridio di gomme sull’asfalto. Sono quelle di un’automobile che le due donne, girandosi di scatto, vedono bloccarsi alle loro spalle, quasi a sfiorarle. Uno dei rari testimoni dirà in seguito che gli “era parso un incidente stradale”.
Madre e figlia, ovviamente spaventate, non hanno il tempo di rendersi conto di cosa stia accadendo. Tutto avviene in pochi secondi. Terrorizzate, riescono a notare solo l’ombra di uomo che, appena disceso dalla macchina, si materializza minacciosamente dicendo alla ragazza: “Sono venuto a prenderti”.
Le grida della giovane donna s’innalzano in direzione di balconi e finestre per invocare aiuto. Nessuno sente, nessuno vede. La madre reagisce come solo può fare una persona anziana che nulla può per fermare tre giovanotti malintenzionati. Cerca disperatamente di difendere la figlia dall’aggressione, alzando le braccia contro i loro visi.
Ma i tre hanno buon gioco ad immobilizzare subito la ragazza, la costringono a salire sull’automobile, scaraventandola sui sedili posteriori, mentre la madre inerme perde l’equilibrio e cade sul manto stradale.
Sembra un’eternità. Ma sono passati solo pochi secondi. Testimoni? Nemmeno l’ombra. E quando verranno individuati diranno che niente hanno visto e niente hanno sentito. La mancanza di senso civico contrabbandata per saggezza ereditata degli avi.
Solo un automobilista di passaggio azzarda la domanda se c'era stato un incidente. “Si faccissi i fatti soi,”, e’ la risposta immediata dei tre compari.
Poi, così come erano arrivati, a tutto gas ripartono, infilandosi sulla statale che conduce a Palermo, passando da Vita. L’autostrada e’di là da venire. Arriverà molto dopo e solo “grazie” al sisma del ’68. Quasi tutte le modernizzazioni in Sicilia sono avvenute dopo catastrofi come terremoti e alluvioni.
Il piano dei tre ribaldi prevede di raggiungere uno sperduto casolare di proprietà del fratello del rapitore. Quattro mura fatiscenti tra le colline che circondano Salemi.
Giunti sul posto, i due vi lasciano in fretta la coppia. Rapita e rapitore vi rimarranno tre notti. Verranno scoperti all’imbrunire del 22 dicembre dalla squadra dei carabinieri, con l’aiuto di cani-poliziotto del Centro cinofilo della Ficuzza..
Entrando nel covo i militari vengono accolti da un pianto liberatorio della ragazza, mentre il rapitore con l’atteggiamento di chi vuol nascondere paure ancestrali, minaccia: “Che siete venuti a fare ? Non ho fatto nulla di male. Qui non si e’ commesso nessun delitto. La ragazza è d'accordo con me. Ci sposeremo e tutto finirà in bene. E' stata una " fuitina "... ».
Gia’. La “fuitina”. Si appella alla tradizione, lo spasimante. Sa che con questo metodo sono state assoggettate migliaia di ragazze in Sicilia. In questo modo era stata impedita alle giovani donne ogni sorta di scelta, a sopportare in silenzio la violenza subita, costrette a usare il termine “fuga” quella che è invece era solo l’iniziativa dell’uomo, la violenza del “masculu” mascherata da amore nella società patriarcale, e spesso con la complicità e la “benedizione” di tante madri in gramaglie.
Il rapitore confidava nella “legge” naturale che considerava la “fuitina” come un fatto privato, una fuga romantica, un espediente anche economico che consentiva di evitare, oltre che le patrie galere, anche le spese del matrimonio,
Ma mal gliene incolse, pero’. Non sapeva che quella legge non esisteva piu’nemmeno nel sentire comune, soprattutto nelle coscienze delle donne delle nuove generazioni..
Lo dimostrava il caso di Franca Viola rapita ad Alcamo da Filippo Melodia, che giusto qualche settimana prima era stato condannato ad undici anni di carcere. Segno che le cose cominciavano a cambiare anche nelle aule giudiziarie.
E poi, due anni prima, “Sedotta e abbandonata” il film di Pietro Germi, pur se messo alla gogna dai soliti circoli benpensanti isolani che accusavano il regista di denigrare la Sicilia, aveva contribuito a cambiare anche il comune sentire della gente sul falso valore della verginità femminile, un pregiudizi che si stava sgretolando come le mura di Gerico.
Lo confermava ora anche Mattea, la giovane salemitana sequestrata, che ebbe la determinazione di smentire subito le esternazioni del suo rapitore, affermando con vigore che diceva il falso e che “Non eravamo per niente d'accordo, glielo avevo detto tante volte che non sarei mai fuggita con lui! “
Dichiarazioni confermate davanti al maresciallo Luciano Coppolino: “sono stata rapita contro la mia volonta’!” . E quando il sottoufficiale rispose che occorreva una denuncia formale in carta da bollo, subito il fratello, presente all'interrogatorio, corse a comprarla dal tabaccaio a pochi metri dalla Caserma.
Lo stato del camionista da fermato si trasformò in arresto con l’accusa di rapimento e sequestro di persona. Fu successivamente condannato a qualche annetto di carcere.
Alcuni giorni dopo, il 28 dicembre 1966, sulla Stampa di Torino a caratteri cubitali titolò: “ La rivolta delle “rapite” contro gli ex fidanzati. Franca Viola e Mattea, la ragazza di Salemi, nuovi simboli della moderna Sicilia”.
Il giornalista scrittore Gigi Ghirotti scriveva testualmente: “I recenti clamorosi episodi dimostrano che qualcosa è cambiato nella mentalità dei siciliani (specie dei giovani). (...) Mattea, la ragazza rapita di Salemi, ha oggi fatto sapere di volersi incontrare quanto prima con Franca Viola, la ragazza che ha dato a lei, e a tutte le siciliane minacciate di ratto, la forza per resistere alla sopraffazione e il diritto di scegliersi in altro modo il proprio marito.”
Gli faceva eco lo psicanalista Francesco Corrao, direttore del gabinetto medico psico-pedagogico del Centro di rieducazione per minorenni di Palermo, dicendo di non sapere se sarebbe stato un incontro storico, ma una cosa era certa, che in quegli ultimi due anni erano stati esaminati 41 episodi di ragazzine fuggite di casa (l'indagine riguarda le province di Palermo, di Enna, di Caltanissetta).
E concludeva: “C’e’da sperare che questi siano gli ultimi episodi d'un costume al tramonto. Una volta, queste ragazze venivano cacciate, erano le «disonorate» della famiglia, categoria tristissima di ragazze, dannate a ramingare tra ospizi, conventi, riformatori e marciapiedi. “
Recentemente, nell’ Anno Accademico 2022/2023, il caso di Mattea e’ stato trattato persino in una tesi di laurea presso l’Università di Padova.
A Salemi invece solo silenzio e indifferenza.
Mentre l’intera famiglia della ragazza rapita lasciò definitivamente la Sicilia e Salemi, preferendo trasferirsi in una regione del nord Italia.
Se la vicenda da punto di vista legale e giuridico ha avuto un epilogo positivo , la stessa cosa non ci sentiamo di potere dire da quello del ricordo, come dicevamo all’inizio.
Abbiamo svolto una nostra piccola indagine per tentare di capire i motivi di tanto misterioso oblio.
Tra quelli da noi interpellati, pochissimi conoscevano la storia, solo chi ha superato una certa età.
Il risultato e’ stato sorprendente, ma coerente con l’età posseduta. E, per certi versi conferma, cio’che temevamo. Il giudizio delle donne che ricordavano l’episodio da noi interpellate e’ stato unanime.
“Non doveva rompere un fidanzamento e poi, dopo la fuitina, perché non l’ha sposato ?”, hanno risposto.
Ignorato nel corso degli anni anche dalle associazioni femminili. Nonostante le panchine rosse installate e le numerose manifestazioni organizzate in cui veniva sempre stato citato il nome della Viola ma mai quello della concittadina Mattea.
Un silenzio che non si spiega per la persistente cultura patriarcale che assegna alla donna un gradino inferiore a quello degli uomini. Se cosi fosse, perché solo per Mattea?
E se le motivazioni stessero tutte sulle origini sociali della ragazza? Motivi di appartenenza ad una classe sociale, ritenuta di basso livello.
Atteggiamento tipico di una società a forte impronta piccolo borghese.
Non solo poco incline al cambiamento ma intollerante verso chi violano falsi miti, come il presunto valore della verginità’ femminile, specialmente se a farlo e’ qualcuno appartenete ad un ceto presunto inferiore economicamente e socialmente.
Oggettivamente, oggi la situazione in Sicilia ci sembra non diversa da quella di tutte le altre regioni d'Italia.
I due casi di Alcamo e di Salemi 58 anni fa hanno fornito la prova e la controprova d'una maggiore autonomia, d'una maggiore responsabilità, raggiunte dalla donna siciliana nell'ambito della società.
Un tempo, fino agli anni ’50 del secolo scorso, la ragazza rapita e oggetto di violenza era quasi obbligata a seguire i voleri del gruppo familiare e sociale a cui apparteneva.
Nella società contadina il ratto della vergine era un fatto rituale, che ha i suoi precedenti addirittura nel mito: il mito di Proserpina rapita da Plutone.
Ecco. Questa potrebbe essere la chiave. La società piccolo-borghese partorita da quella contadina non perdona chi infrange un Mito.
Franco Ciro Lo Re