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28/12/2024 02:30:00

Pellegrini di Speranza

 La speranza si definisce generalmente “tensione verso una meta”. È l’inquietudine dell’uomo verso qualcosa che non possiede ancora. Quale meta? ‹‹Rappresenta una prospettiva positiva nei confronti del futuro››. La speranza è qualcosa che coinvolge la totalità del nostro essere, anima e corpo, e ‹‹spinge il nostro sentimento a guardare avanti con ottimismo e a credere che il domani possa essere migliore››.

Quest’ansia è di per sé un movimento, qualcosa che ci spinge a fare un cammino, tipico della speranza, verso una realtà che ci pone a essere diversi: cambiati, arricchiti, esseri “nuovi”. Chi fa un viaggio non è fermo, anche se metaforicamente, diventa un viandante, un pellegrino verso un ideale di cui abbia una visione chiara, a volte offuscata perché in divenire, ma, nel complesso, abbozzata e fondante su una struttura idealmente concreta, visibile ai propri occhi.

Tutti gli uomini dovrebbero avere un traguardo in base al quale sognare le proprie aspirazioni e realizzarsi. L’uomo che non spera è morto. Per molti, però, questo fine non è percepibile a causa delle ottusità, delle pseudo forme che continuamente la società pone sull’esodo degli uomini e donne come beni raggiungibili, ma di fatto sono delle mostruosità, fumo negli occhi per i più deboli. Non è un caso che molti uomini abbandonino la capacità di sognare e di costruire col pianto e con la lotta per arrendersi di fronte a un progetto di vita che diventa per loro impossibile raggiungere.

Sperare è per ogni uomo: vivere, attendere, generare, sfruttare, lottare, accogliere, momento per momento, un piano che spesso bisogna cambiare in itinere. ‹‹Di fronte alle nostre stoltezze, di qualunque genere, - scrive Sergio Zavoli - ci viene in soccorso un sentimento capace di lenire l’inquietudine: la speranza. (…) Sperare, oggi, vuol dire tendere l’orecchio e il cuore a ciò che la storia ci chiede, significa impegnarsi a correggerla inarcando da sponda a sponda, come ponti, amore e ragione. Tutto, che si creda o no, prenderà il volto delle nostre azioni, ma persuasi che ora è il momento della novità, che tutto il possibile è adesso, in questo nascosto domani che sta dentro di noi›› (S. ZAVOLI, Credere non credere, 293-294).

Per il cristiano vivere la speranza significa seguire il progetto che Dio ha per ciascun essere umano. Significa lasciarsi ‘masticare’ da Lui, anticipare la pienezza nel “qui e ora”. Equivale a chiedere al Signore di fare di lui uno strumento di salvezza.

La speranza è una delle tre virtù teologali, ed è la fede che l’alimenta e dà il senso del cammino terreno perché non sia vuoto, privo di prospettive.

La speranza, per la dottrina cristiana, è la forza attraverso cui l’uomo desidera e aspetta da Dio la vita eterna come sua felicità, riponendo la sua fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandosi “nell'aiuto dello Spirito Santo” per meritarla e preservarla sino alla fine della vita.

La speranza per i cristiani non è qualcosa, ma qualcuno che ha un volto: quello del Cristo risorto. Solo noi, popolo peregrinante, speriamo nel qui non ancora e assicurato. Ed è sulla promessa di Cristo che noi confidiamo. Sulla certezza che solo Lui, assiso alla destra del Padre, farà nuove tutte le cose e ciascuno di noi. È la Grazia che abbiamo ricevuto nel battesimo e ogni giorno riceviamo, attraverso i meriti di Cristo, che sana la nostra cecità. Essa ci fa vedere la realtà perché possiamo essere uomini di speranza, operatori per la costruzione di un futuro migliore. Solo se testimoni della speranza, ci sentiamo in cammino, non da soli, ma con accanto quel Gesù che si fece compagno dei discepoli di Emmaus e ci aiuta ad aprire gli occhi fino a riconoscerlo. ‹‹La speranza non è, quindi, un augurio, un’illusione o una chimera, ma è una certezza sul futuro fondata sull’assaporamento già nel presente di un centuplo e sulla credibilità dei testimoni incontrati." (https://lanuovabq.it/it/con-san-giacomo-dante-sostiene-lesame-sulla-speranza). Questa sicurezza è la gloria eterna nel seno della Trinità, e ‹‹la speranza non delude›› (Rm 5,5).

La speranza deve essere nutrita quotidianamente dalla carità. I cristiani dovrebbero essere, infatti, uomini di speranza non solo per sé ma, per la chiesa e con la chiesa, nel mondo intero, tra gli ultimi e tutti coloro che sono la vera ricchezza per il Regno di Dio: i poveri.

Tanti sono i luoghi della speranza nei quali la carità si alimenta e sostiene il cammino dei credenti: la famiglia, l’ambiente di lavoro, la società, gli ospedali, la scuola, la strada, le carceri, le occasioni, il cuore degli uomini, le profondità più oscure del proprio io...

Il Giubileo che stiamo vivendo è un anno di Grazia in cui prendiamo coscienza che non siamo soli a sperare, ma con noi c’è la Chiesa che è in cammino, c’è il popolo di lsraele, dei presenti e di coloro che verranno. Solo chi non spera è come il servo della parabola che, per paura, nasconde l’unico talento ricevuto e non lo fa fruttare. Ai cristiani l’apostolo Pietro esorta non solo a testimoniare ma anche a dare dei chiarimenti sulla propria speranza: ‹‹Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni›› (1Pt 3,15).

San Paolo comprende, il peso della stanchezza che, a volte, copre la vita dei cristiani e ci ammonisce a non volgere lo sguardo altrove, ma ‹‹spes contra spem›› (sperare contro la stessa speranza), andare dritti verso la meta. E il salmista ci esorta, quasi incitandoci nel cammino: ‹‹Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore›› (Sal 27,14). Come se ciò non bastasse, San Giovanni Paolo II ci ricorda ad andare oltre, a “varcare le soglie della speranza” per essere santi, sull’esempio della santità di Dio.

Che non ci abbandoni mai, dunque, l’anelito della speranza di raggiungere, con il nuovo giorno, la Luce che è splendore, contemplazione di Dio stesso per vederlo faccia a faccia com’egli è (cfr. 1 Gv 3,2). ‹‹La disgrazia del nostro tempo – diceva già Soren Kierkegaard – è, invece, che non è diventato altro che “tempo”, temporalità che, impaziente, non vorrebbe sentir parlare di eternità, che anzi, con buone condizioni o in preda a frenesia, vorrebbe rendere del tutto superfluo l’eterno con una artificiosa imitazione; il che però non gli riuscirà, in tutta l’eternità, perché quanto più si crede di poter fare a meno dell’eterno, quanto più ci si irrigidisce nel pensare che si può fare a meno di lui, tanto più, in fondo, si ha bisogno di lui››.

In quest’attesa chiediamo che ci venga in soccorso Maria, la quale con il suo “Eccomi”, sproni la nostra apatia e ci renda disponibili a riprendere ogni giorno il cammino, affinché ‹‹Il Giubileo sia un Anno Santo - dice Papa Francesco - caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio. Ci aiuti pure a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (cfr. 2Pt 3,13), dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore›› (Spes non confundit, Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025).

Erice, 22 dicembre 2024

 

SALVATORE AGUECI



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