L’arresto di Matteo Messina Denaro il 16 gennaio 2023 ha scoperchiato un elaborato sistema di protezione che, per oltre trent’anni, ha garantito al boss di Cosa nostra di sfuggire alla giustizia. Rifugi segreti, accesso a cure mediche, identità false e una rete di connivenze ben radicata nel tessuto sociale: questi sono stati gli strumenti che hanno permesso al boss di rimanere un’ombra per così tanto tempo. Analizzare questa rete è fondamentale per comprendere l’estensione e il potere della mafia siciliana.
15 identità false per una vita nell’ombra
Matteo Messina Denaro non si limitava a nascondersi: costruiva vite parallele attraverso identità false, ognuna delle quali gli permetteva di muoversi liberamente e di accedere a servizi senza essere riconosciuto. Tra i nomi usati spiccano: Andrea Bonafede, alias utilizzato al momento dell’arresto; Giuseppe Giglio,
Vito Accardo, Gaspare Bono, Giuseppe Bono, Renzo Bono e Salvatore Bono, variazioni su un cognome probabilmente scelto per confondere le tracce;
Giovanni Salvatore Giorgi, usato con successo nel 2017 per superare un posto di blocco a Mazara del Vallo; Vito Firreri, legato a documenti ritrovati in un tatuatore di Palermo; Vito Fazzuni, Giuseppe Gabriele, Giuseppe Indelicato, Simone Luppino, Giuseppe Mangiaracina e Alberto Santangelo.
Quasi tutti i nomi utilizzati dal boss appartenevano a persone nate a Campobello di Mazara, tra il 1961 e il 1973, con due eccezioni: Simone Luppino, originario di Castelvetrano, e Alberto Santangelo, nato in Venezuela. Questa scelta non era casuale: radicare le sue identità nel contesto trapanese gli permetteva di operare indisturbato in un territorio che conosceva a fondo e in cui godeva di protezioni diffuse.
Il ruolo della sanità: una protezione insospettabile
Un aspetto fondamentale della latitanza di Messina Denaro è stato il ricorso al sistema sanitario nazionale, sfruttato per affrontare problemi di salute come lo strabismo e, più recentemente, il tumore diagnosticato quattro anni prima dell’arresto. Tra i principali sospettati emerge il nome dell’oculista Antonino Pioppo, primario a Villa Sofia e successivamente al Civico di Palermo, indagato per favoreggiamento aggravato. Ricette firmate da Pioppo, ritrovate nei covi del boss, hanno sollevato il sospetto che il medico fosse consapevole dell’identità del suo paziente. Anche l’ex medico di base Alfonso Tumbarello è sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Tumbarello avrebbe fornito centinaia di certificati medici falsi per consentire a Messina Denaro, sotto l’identità di Andrea Bonafede, di accedere a cure salvavita. Questo sistema dimostra quanto fosse pervasiva la rete del boss, capace di infiltrarsi anche nelle istituzioni sanitarie.
Campobello di Mazara: il cuore operativo della rete
Campobello di Mazara non è solo un luogo simbolico per Matteo Messina Denaro, ma il fulcro operativo della sua rete di supporto. Qui si trovano le radici di gran parte delle identità utilizzate dal boss e i legami con fiancheggiatori locali che gli garantivano protezione e anonimato. Tra i complici spicca il nome di Andrea Bonafede, geometra locale condannato a 14 anni, che non solo ha prestato la sua identità, ma ha anche aiutato il boss nella logistica quotidiana. Campobello ha offerto a Messina Denaro un rifugio sicuro fino alla fine della sua latitanza, dimostrando quanto la mafia possa trovare terreno fertile anche in comunità apparentemente tranquille.
L’archivio segreto e le nuove rivelazioni
Nei covi del boss, come quello di Vicolo San Vito, sono stati trovati oltre mille pizzini, biglietti e documenti, contenenti codici, sigle e nomi criptati. Gli investigatori stanno lavorando per decifrare questo materiale, nella speranza di individuare ulteriori complici e di comprendere i flussi economici e i segreti di una rete criminale che si estende ben oltre il trapanese. La scoperta di questo archivio segreto potrebbe fornire la chiave per smantellare definitivamente la struttura che ha protetto Messina Denaro per decenni, rivelando nuovi intrecci tra mafia, politica e società civile.
Un sistema da smantellare
La rete di protezione di Matteo Messina Denaro non è solo un esempio di astuzia criminale, ma rappresenta il volto più subdolo della mafia: la capacità di radicarsi nel tessuto sociale, infiltrarsi nelle istituzioni e contare su connivenze che vanno oltre il semplice legame mafioso. Il lavoro per smantellare questa rete è appena iniziato. La lotta non è solo contro i singoli complici, ma contro un sistema che per decenni ha reso possibile l’impunità del boss.