“È nel tempo libero che diventiamo umani e scopriamo qualcosa di noi e del mondo”
Questo sopra è un pensiero di Chiara Faggiolani, professoressa di biblioteconomia alla Sapienza a Roma, all’interno di un suo contributo attento a dinamiche che dovrebbero appartenere ad una comunità evoluta e curiosa. Lei parla del tempo libero e delle scoperte che potremmo fare attorno all’universo libro, snocciolando numeri tempi e luoghi dove tutto ciò potrebbe accadere: per adesso divago e ci torno poi.
C’è stato un tempo in cui si parlava di giacimenti culturali - infelicissima espressione per individuare risorse presenti sui territori da valorizzare, oggi per fortuna questo inciampo lessicale è quasi in disuso; ma per non stare mai troppo tranquilli ecco che dietro l’angolo sono spuntati i contenitori culturali e a me la prima immagine visivamente coerente è quella di un barattolo di vetro, dove venivano conservate leccornie della nonna per le stagioni invernali. Sommessamente mi permetto di dire che un teatro, una biblioteca, un museo (sono esempi) hanno dinamiche di gestione e fruizione molto distanti tra loro e assimilarli in una sorta di macro-gruppo non fa onore ai tanti che ci lavorano, ai molti che potrebbero gravitare: questi luoghi non devono essere riempiti sic et simpliciter, magari lo si potrà fare ma con un processo rigenerativo e purtroppo lento dopo anni complessi.
In questi giorni a Roma è in corso "Più libri più liberi", la fiera della piccola e media editoria e nel rutilante (forse troppo) programma di questa edizione, file lunghissime si accalcano per acquistare un biglietto e partecipare a questo rito laico: oramai è atteso come momento dalla comunità tutta e in quel tempo libero di cui sopra, un pezzo di comunità si ritrova si confronta e forse scopre tanto altro.
C’è una abitudine virtuosa a partecipare ad un qualcosa che sai che ci sarà. Se questo qualcosa nel tempo lo hai fatto venire meno per le ragioni più diverse, lentamente ci si abituerà non tanto a non avere ma neppure più a chiedere e la normalità sarà riempita da vuoti. Si sta tornando a Teatro, deo gratia, ma forse perché c’è una proposta interessante, forse perché è anche giusto ammettere che il nostro elastico interiore del sentire lo abbiamo teso troppo e al rilascio abbiamo accusato solo la botta e nessuna sollecitazione o emozione. Sono troppi i vuoti da riempire nella nostra Città, e al netto di cantieri o altro, credo che non sia più tollerabile mantenere uno stato di cose che nuoce gravemente ad un welfare culturale di base che si è sgretolato. Una biblioteca DEVE creare non solo una comunità di lettori ma anche altro e in sintonia con i tempi che viviamo; uno spazio espositivo (con collezione annessa) non può risultare di fatto non pervenuto alla Comunità: idee per farlo vivere ce ne sarebbero moltissime in questa fase, se solo ci fosse la voglia di recepire una sottile necessità di rileggere quei quadri quelle sculture magari in modo diverso. E’ come il tracciato dopo un eco cardiogramma, abbiamo sussulti appena percepibili, ma perché? Su temi comuni a tutti, perché non c’è più una azione corale di partecipazione come già vissuto in passato? Parliamo di fare rete, lavoriamo per costruirle con fatica improba, e poi la risposta è da isole o peggio da atolli. Ma davvero fingiamo di credere che ne usciremo così da questo cul de sac?
La Faggiolani reclama da Roma - e ovviamente per tutti noi - un accesso alle biblioteche con orari diversi e decisamente in una modalità tale tesa ad assecondare le esigenze che mutano nel tempo (e da tempo dico che quello è un luogo che non può avere orari canonici di ufficio, non hanno senso); questa modalità di fruizione che rende noi umani forse finalmente coscienti di poter usufruire di spazi in modo difforme rispetto al passato, ma so già che è utopico il solo scriverlo. E’ come il periodo ipotetico del quarto tipo ( o della irrealtà), di fatto non esiste e quindi lasciamo tutto com’è. Dalla giostra della cultura in troppi sono scesi per stanchezza, per sfinimento ma ho come l’impressione che così facendo si faccia un favore ad una politica senza visione che agisce per slogan e senza azioni conseguenti. Quel teatro, quella biblioteca, quello spazio espositivo, torniamo a reclamarli e a viverli come normalità del quotidiano e con senso di partecipazione autentica, perché nell’assenza tutto ciò annichilisce la curiosità che è il naturale motore per crescere come Comunità. Scomodo Domenico De Masi e il suo Ozio creativo, perfetta “sintesi hegeliana tra queste due tesi e antitesi, tra il piacere e il dovere”. A noi sposare l’idea e se del caso spostare l’asticella.
Giuseppe Prode