Santino Di Matteo, torna a parlare. Lo storico collaboratore di giustizia che svelò i segreti della strage di Capaci, padre di Giuseppe Di Matteo, ucciso e sciolto nell'acido, amareggiato, denuncia una situazione paradossale: “I killer mafiosi ottengono permessi premio e tornano a Palermo, mentre io, che ho pagato un prezzo altissimo per aiutare lo Stato, non ho più la protezione e devo nascondermi”.
Di Matteo racconta a La Repubblica la sua indignazione: “Questi mafiosi, dichiarati detenuti modello, hanno un solo pensiero: riorganizzare Cosa nostra. E mentre loro tornano nei loro quartieri, io non posso vivere serenamente”. Il riferimento è a boss come Vito Brusca e Girolamo Buccafusca, che beneficiano di semilibertà per svolgere attività di volontariato.
L’amarezza di Santino Di Matteo è palpabile quando ricorda suo figlio Giuseppe, rapito e ucciso dai mafiosi per vendetta. “Aveva solo 15 anni, lo hanno strangolato e sciolto nell’acido dopo 700 giorni di prigionia”, dice con la voce rotta. “Il sacrificio di Giuseppe e la lotta alla mafia rischiano di essere vanificati da scarcerazioni che non si possono giustificare”.
Di Matteo sottolinea che lo Stato, pur riconoscendo il rischio che corre, lo ha espulso dal programma di protezione dopo che, nel 1994, tornò in Sicilia per cercare suo figlio. “Ho fatto arrestare centinaia di mafiosi, continuo a collaborare con la giustizia, ma devo vivere come un fuggitivo”.
Continua, poi Di Matteo: “Giuseppe ha vinto, li abbiamo messi tutti in carcere. Ma se ora cominciano a uscire, il suo sacrificio sarà stato inutile”. Di Matteo si allontana verso Corso Calatafimi, portando con sé il peso di una vita spezzata dalla mafia e il dubbio su quanto lo Stato stia facendo per onorare quel sacrificio.