
Pino Apprendi, garante dei detenuti: "aumentare il personale nelle carceri non basta ad eliminare la sofferenza"
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Pino Apprendi, garante dei detenuti di Palermo. Cosa accade nelle carceri, in particolare in quelle siciliane? Nei giorni scorsi abbiamo raccontato della maxi operazione che ha coinvolto diversi agenti di polizia penitenziaria, accusati di sevizie, minacce e tortura. Il giorno successivo, da Palermo, è arrivata la foto di un agente pestato da alcuni detenuti violenti. La polizia penitenziaria, in quel caso, ha diffuso l’immagine dichiarando: "Anche noi subiamo violenza." Ma davvero le carceri sono ridotte a questo?
I due fatti sono sempre esistiti nelle carceri. La violenza c’è sempre stata, più o meno nascosta. Basta osservare i casi in cui ci sono state denunce o testimonianze: quando la verità emerge, spesso è grazie al coraggio di qualcuno, come accaduto con il caso Cucchi. Ma non è un caso isolato. Allo stesso modo, i pestaggi o i comportamenti violenti dei detenuti vengono registrati e denunciati, solitamente da agenti o sindacati. C’è un problema di organici, ma aumentare il personale non basta a eliminare la sofferenza che si vive nelle carceri. Personalmente, ho contattato più volte l’agente pestato al Pagliarelli, e sono andato a incontrare il comandante delle guardie per esprimere la mia solidarietà. Sono altrettanto sdegnato dalle immagini che mostrano violenze sugli stessi detenuti. Provate a immaginare: se quelle immagini non fossero state diffuse, io avrei potuto venire a conoscenza dei fatti solo attraverso un rapporto confidenziale. Tuttavia, anche se durante i colloqui con i detenuti qualcuno mi dicesse “ho subito violenze”, queste dichiarazioni non costituiscono una prova utilizzabile in una denuncia formale. Io stesso rischierei una querela. Questa è la realtà e il dramma della vita carceraria. Confido nella polizia penitenziaria, un corpo sano che, nella maggior parte dei casi, non è contagiato dalla brutalità di pochi. Gli agenti vivono accanto alla sofferenza dei detenuti e fanno scorrere la vita dentro il carcere. Tuttavia, dobbiamo ricordare che chi è detenuto ha commesso un reato e deve scontare la privazione della libertà, ma non può essere privato della dignità. Nessuno dovrebbe subire violenze, che siano fisiche, morali o psicologiche.
Qui intervista completa a Pino Apprendi.
Suicidi in carcere: un'emergenza nazionale - Il problema dei suicidi nelle carceri italiane è una tragedia che continua a ripetersi con numeri sempre più allarmanti. Con 83 suicidi registrati dall’inizio del 2024, si è ormai raggiunta una “spirale di morte” che richiama l’urgenza di interventi concreti. Lo sottolinea il segretario della UILPA, Gennarino De Fazio, che avverte: “Con il periodo natalizio, spesso si registra una recrudescenza di fenomeni autolesionistici e suicidiari.”
Gli ultimi due casi, avvenuti a novembre, raccontano storie di disperazione e abbandono. A Palermo, un detenuto di 44 anni, in attesa di giudizio, si è tolto la vita dopo giorni di sofferenze in ospedale. Solo il giorno precedente, un giovane di 27 anni si era impiccato nella sua cella a Cagliari. Questi episodi evidenziano un sistema carcerario incapace di rispondere alle necessità di supporto psicologico e sanitario. Il sovraffollamento degli istituti, con un tasso del 133,25% (62.323 detenuti a fronte di una capienza di 46.759 posti), peggiora ulteriormente la situazione.
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha recentemente dichiarato che il governo sta lavorando per potenziare la rete di assistenza psicologica e creare percorsi di comunità per detenuti con disagio psichico e dipendenze. Tuttavia, le parole sembrano disconnesse dalla realtà. Gli interventi strutturali, come la manutenzione degli edifici e l’adeguamento sanitario, restano insufficienti. Secondo il deputato Roberto Giachetti (Italia Viva), "la situazione sanitaria e igienica delle carceri è drammatica, con infiltrazioni d’acqua, muffa, ratti e servizi inadeguati."
La responsabile giustizia del PD, Debora Serracchiani, ha sottolineato la necessità di soluzioni alternative per i detenuti con disagi psichiatrici e dipendenze. Tra queste, l’affidamento in prova alle comunità terapeutiche, che si dichiarano pronte a collaborare. La proposta, sostenuta anche da Rita Bernardini (Nessuno Tocchi Caino), mira a ridurre il sovraffollamento e a garantire un percorso riabilitativo per i detenuti. Nel frattempo, i sindacati e le associazioni chiedono maggior trasparenza sulle condizioni delle carceri, attraverso visite periodiche obbligatorie da parte delle ASL competenti, come previsto dalla normativa vigente.

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