Il 5 novembre 1976 è una data che i cittadini di Trapani e della sua provincia ricordano con profonda tristezza. In quel giorno, infatti, una violentissima alluvione colpì la città, causando la morte di 16 persone e danni immensi alle infrastrutture, alle abitazioni e alla rete viaria. Trapani, come tutta la Sicilia occidentale, era stata per mesi battuta dal caldo scirocco, ma in quell’inizio di novembre il tempo instabile portò una tempesta che si abbatté senza tregua sulla città.
Le piogge intense provocarono smottamenti dal Monte Erice, con detriti, pietre e fango che si riversarono nelle strade fino a raggiungere il cuore della città, la centralissima Via Fardella, la stazione ferroviaria e il porto. Un terzo del territorio comunale fu devastato: strade bloccate, scantinati e abitazioni allagate, la rete idrica e fognaria interrotta in più punti, e perfino l’ospedale Sant’Antonio Abate reso inagibile. La città era impreparata a un evento di tale portata, e i soccorsi, nonostante il coinvolgimento di forze locali e volontari, si dimostrarono insufficienti.
I primi soccorsi e la solidarietà dei marinai
In assenza di un’efficace organizzazione di protezione civile – che all’epoca non esisteva come la conosciamo oggi – i primi soccorsi giunsero dai marinai imbarcati su navi di passaggio a Trapani. Senza esitazione, questi uomini si misero a spalare il fango dalle attività commerciali e dalle case al pianterreno, dando un prezioso contributo in un momento di emergenza. A supportarli c’erano anche i giovani della Cattedrale, che si organizzarono per aiutare a ripulire le strade e le abitazioni devastate.
Le radio locali, un'ancora di salvezza
In un’epoca in cui non esistevano né cellulari né social media, il ruolo delle radio locali fu cruciale. Le emittenti locali trasmettevano costantemente aggiornamenti sulla situazione, dirigendo i soccorsi e rassicurando i cittadini, molti dei quali non avevano notizie dei propri cari.
Il dramma dei senzatetto e l'occupazione della Cattedrale
La furia dell’alluvione lasciò decine di famiglie senza un tetto. Gli sfollati, disperati e in cerca di risposte, iniziarono a compiere gesti di protesta. Nel marzo 1977, a pochi mesi dalla tragedia, 41 famiglie senza casa occuparono la Cattedrale di San Lorenzo. Erano stati costretti a questa azione, dopo aver occupato alloggi popolari rimasti vuoti e in attesa di una sistemazione definitiva. Non avendo trovato risposte dalle autorità, queste famiglie decisero di stabilirsi in Cattedrale per ben 47 giorni, assistite dalla Chiesa e dai cittadini solidali, finché non ottennero un’assicurazione sulle loro richieste.
La rabbia e le accuse di "programmazione del disastro"
La Procura di Trapani aprì un’inchiesta sull’accaduto. Nel fascicolo investigativo si ipotizzava una “programmazione” del disastro, imputando a ritardi e inadempienze delle amministrazioni locali la responsabilità dell’alluvione. Mancavano infrastrutture essenziali come il canale di gronda e un’efficiente rete fognante; opere che, se realizzate, avrebbero potuto limitare i danni. Una storia che, purtroppo, si ripete ancora oggi.
La situazione attuale e il rischio idrogeologico
A distanza di quasi mezzo secolo, i problemi idrogeologici di Trapani restano irrisolti. Il territorio è classificato come “a notevole rischio idrogeologico” nel piano comunale di protezione civile, e ogni anno, con le prime piogge, la città è costretta a fronteggiare emergenze causate dall’allagamento delle strade e dalla debolezza della rete di smaltimento delle acque piovane. Le risorse stanziate negli anni per la prevenzione del dissesto idrogeologico non sono mai state sufficienti, lasciando Trapani e i suoi abitanti esposti alle calamità.
La sfida del cambiamento climatico
Il cambiamento climatico amplifica questi problemi. Gli eventi meteorologici estremi, mettono ulteriormente alla prova un sistema già fragile. Anche se non ci sono state vittime, la minaccia resta, e senza interventi strutturali su tutta la provincia, il futuro appare incerto.
Conclusione
La tragica alluvione del 1976 rimane un monito per la comunità e per le istituzioni. Ricordare quell’evento è un modo per onorare le vittime e sottolineare l’urgenza di soluzioni concrete e durature. La storia ci insegna che il dissesto idrogeologico non può essere ignorato, e la sfida per la salvaguardia del territorio è oggi più attuale che mai.