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28/10/2024 09:01:00

 Giovani e politica: il divario di un disinteresse profondo

Parlare di giovani e politica oggi è come tentare di far combaciare due pezzi di un puzzle sbagliato. Da un lato, una generazione che osserva la politica con lo stesso entusiasmo che riserva a un manuale di istruzioni; dall’altro, istituzioni che sembrano lontane anni luce dai reali interessi e bisogni dei giovani. Il divario è profondo. Ma la vera domanda è: i giovani vogliono davvero superare questo divario, o preferiscono restare nella loro rassicurante bolla di disinteresse?

Guardiamo i numeri: solo il 46% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha votato alle ultime elezioni. L'altro 54% era probabilmente occupato in attività ritenute più coinvolgenti: il trend del momento su TikTok, la scelta del filtro giusto per Instagram, o una serie su Netflix da terminare. Il “non voto” sembra diventato una nuova forma di protesta, o, peggio ancora, di apatia. Perché il punto è proprio questo: a una fetta crescente di giovani non interessa affatto “sporcarsi le mani” con la politica.

Un tempo, il cambiamento si costruiva per le strade, con slogan, manifestazioni e sacrifici personali. Oggi, tutto questo sembra storia antica. I giovani preferiscono manifestare dal divano, con un clic, un like o un hashtag. È nato così il “clicktivismo”, un attivismo superficiale che si ferma a un gesto indolore, che non richiede né tempo né impegno. Un attivismo comodo, un po' come ordinare cibo d’asporto: basta un attimo per sentirsi parte di qualcosa di grande, senza però muovere un dito. La lotta per il cambiamento sembra ridotta a un fatto estetico, un argomento da discutere davanti a un caffè o da inserire nel proprio profilo social, ma guai a pensare di impegnarsi davvero.

E le istituzioni? Di certo, non fanno molto per colmare questa distanza. Forse perché non sanno come farlo, o forse perché, più cinicamente, non ne hanno interesse. Qualche iniziativa di facciata, un discorso motivazionale durante le elezioni, e tutto resta come prima. Parlare con i giovani richiederebbe tempo, impegno e la capacità di comunicare in modo diretto e concreto, qualità che sembrano mancare a molti politici. Ma anche se lo facessero, troverebbero davvero un pubblico disposto ad ascoltare? La realtà è che i giovani spesso non tentano nemmeno di avvicinarsi alla politica, considerandola “troppo complicata”, “troppo corrotta” e, soprattutto, “troppo noiosa”.

E così il divario tra i giovani e la politica si allarga, in un circolo vizioso che alimenta apatia e disillusione. Di fatto, sono i giovani i primi a escludersi dal gioco. Ma è un’esclusione comoda, che permette di criticare dall’esterno senza mai mettersi in gioco. Il sistema è criticabile, certo, ma chi ha voglia di trascorrere una sera in riunione per discutere di politica locale, quando una pizza e il binge-watching risultano opzioni decisamente più allettanti?

Nel frattempo, il mondo va avanti. E mentre i giovani si scrollano di dosso ogni responsabilità, quelli che si impegnano sono altri, spesso adulti o anziani, con idee e interessi ben diversi da quelli delle nuove generazioni. Questo silenzio e questo disinteresse permettono che le decisioni sul futuro dei giovani vengano prese da chi non vive le loro stesse sfide. Ma, a quanto pare, ai giovani sembra andare bene così: la politica è qualcosa da osservare a distanza, criticare e basta, senza mai voler essere davvero parte del processo.

In fin dei conti, il problema non sono solo le istituzioni, ma un’intera generazione che preferisce criticare senza mai scendere in campo, osservando tutto dall’alto con un cinismo che si considera “sofisticato” ma che, in realtà, non porta da nessuna parte. Ma allora, chi sta davvero perdendo?

Serena Tortorici