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03/10/2024 06:00:00

La siccità in Sicilia. L'unica speranza: le bacinelle

Appena hanno visto il cielo scurirsi, sono corsi a tirare fuori bacinelle, contenitori di ogni forma, colore e dimensione, insalatiere, bidoni con grossi imbuti, pentole, vaschette. Perché piove, è arrivata la pioggia attesa e benedetta in Sicilia, ma è acqua che non disseta e non basta, che si perde e serve solo a spostare di qualche giorno l’agonia di questa estate siciliana di arsura e siccità.


E se un drone si fosse messo in volo, a Palermo come a Caltanissetta o ad Agrigento – le città dove la mancanza d’acqua si fa sentire di più – avrebbe visto nei balconi, sui tetti, contenitori di ogni forma e colore messi lì a cercare di prendere fino all’ultima goccia di acqua piovana in nome del “non si sa mai”. Che è l’unica regola alla quale appigliarsi.


Dal 7 ottobre a Palermo l’Amap, la municipalizzata dei servizi, applicherà nel capoluogo siciliano la misura più temuta: il razionamento dell’acqua. Ci sono risorse, infatti «fino a dicembre di quest’anno». E per spostare in avanti la data prevista per il loro esaurimento, ecco l’interruzione programmata di acqua a macchia di leopardo in città.

A Caltanissetta l’acqua è arrivata, in centro, dopo dieci giorni, solo dopo una “protesta delle mamme”, come è stata chiamata – donne che per giorni hanno chiesto tempi certi e rispetto dei tempi di distribuzione, occupando le strade più importanti. E pensare che pochi giorni fa, il 3 settembre, il sindaco Walter Tesauro aveva brindato, davvero, in una sorta di festicciola pubblica, per l’inaugurazione di due nuovi pozzi che avrebbero dato “benefici” alla città di Caltanissetta.


In provincia di Enna l’acqua arriva nelle case ogni otto giorni, e la Procura ha deciso di aprire un’inchiesta conoscitiva «per valutare se ci sono irregolarità» sulla scorta delle segnalazioni del comitato civico “Senz’acqua”. L’indagine è ad ampio spettro: sotto la lente di ingrandimento ci sono l’approvvigionamento, le modalità di distribuzione e turnazione idrica, ma anche le continue interruzioni e riprese di erogazione, i continui guasti alla rete idrica, la distribuzione e vendita dell’acqua da parte dei privati.

Il tutto avviene mentre è già iniziata la parata del G7 di Siracusa, dedicato all’agricoltura. Un expo che era stato pensato per omaggiare il legame della Sicilia con la terra e che oggi sembra quasi un requiem davanti all’acqua erogata con il contagocce, gli invasi inutilizzabili, e il modo indecifrabile con cui la Regione Sicilia sta gestendo l’emergenza, con tanti soggetti in campo a creare confusione. Così, la pianificazione delle risorse idriche compete all’Autorità di Bacino. Invece, la gestione degli invasi è in capo al Dar, il Dipartimento Acqua e Rifiuti. Ma sul territorio orbitano gli Ati, Ambiti Territoriali Idrici, che sono nove, uno per ogni provincia, a loro volta gestiti da un’“Assemblea Territoriale Idrica”, composta da tutti i sindaci. Gli Ati esistono, sulla carta, dal 2016, ma non sono ancora operativi in molte province.

La città metropolitana di Messina e la provincia di Trapani, non avendo un Ati, nonostante un’estate vissuta con i rubinetti a secco, non hanno potuto beneficiare dei fondi per le emergenze.

A proposito, la Sicilia, nonostante le aspettative, non ha ottenuto neanche un euro dal Pnrr per la realizzazione di infrastrutture idriche. I ventitré progetti presentati dal precedente governo regionale, sotto la presidenza di Nello Musumeci, sono stati dichiarati inammissibili dal ministero delle Politiche Agricole nel 2021. La bocciatura è stata motivata dal fatto che i progetti non rispettavano i criteri previsti per l’ammissibilità.

Confusione sui ruoli, confusione sui dati. Non si sa quanti e quali progetti siano stati attivati, dove, a che punto sono. Anche la dispersione della rete idrica, dato citato da tutti, è qualcosa che non si riesce a certificare con esattezza. L’unico dato lo fornisce Legambiente, che sostiene che, nelle aree interne, la dispersione raggiunge picchi del settantacinque per cento. E l’acqua degli invasi? Lì c’è una certezza, fornita dall’autorità di bacino: nel 2014 c’erano nei bacini e negli invasi dell’Isola 533,49 milioni di metri cubi d’acqua. Dieci anni dopo, questa estate, il nuovo rilevamento segna 263,47 milioni. La metà. Che sono scesi ancora a duecentodue milioni con l’ultimo rilievo di settembre. Invasi che si presentano in condizioni spesso incredibili, tra impianti non collaudati, come abbiamo raccontato su Linkiesta, altri mai terminati, e il deposito di sedimenti sui fondali che, nel corso degli anni, ha creato ulteriori danni, con una percentuale di acqua non utilizzabile (perché, in pratica, è fango).

La diga Ancipa, in provincia di Enna, è al dieci per cento del suo volume. Stessa cosa a Cimia, Caltanissetta. La diga di Pozzillo potrebbe contenere centocinquanta milioni di metri cubi d’acqua. Ne ha tre. A settembre del 2023 erano venticinque.

Il risultato è un’estate vissuta con i rubinetti a secco in molte città, l’acqua a giorni alterni, il ricorso alle navi della Marina come alle autobotti della Protezione Civile, le aziende dell’entroterra costretta ad abbattere il bestiame per mancanza di foraggio.

Proprio gli agricoltori hanno protestato in questi giorni a Siracusa, nei giorni dell’Expo legato al G7. Da un anno toccano con mano gli effetti della siccità in Sicilia, ma da decenni denunciano l’inefficienza di enti e infrastrutture. Va giù duro Rosario Marchese Ragona, di Confagricoltura, quando sente il ministro Lollobrigida ricordargli che «con la siccità bisogna convivere»: «La Sicilia è la terra dove ci sono venti dighe non collaudate da circa cinquant’anni, dove c’è una rete idrica colabrodo, ci sono consorzi di bonifica fantasma che mandano però cartelle di pagamento ai nostri agricoltori».

Dalla Regione rispondono annunciando cifre stanziate per l’emergenza, sgravi sulle cartelle esattoriali, ed altro, ma non c’è una cabina di regia, e, soprattutto, si parte da meno di zero. Sulle dighe, ad esempio, l’assessore regionale all’agricoltura Salvatore Barbagallo replicando a Marchese rivela che «il problema non è solo il collaudo, ma la mancata manutenzione delle opere di scarico e di presa. Non saremo mai nelle condizioni di fare la pulizia di tutti gli invasi perché è insostenibile economicamente e tecnicamente».

I Consorzi di bonifica, inoltre, hanno accumulato negli anni oltre centottanta milioni di euro di debiti. Perché, come dice l’attuale ministro Nello Musumeci, ex governatore della Sicilia, «sono stati utilizzati non per aiutare gli agricoltori, ma come ammortizzatori sociali di alcuni amici». Ad agricoltori e famiglie, ad albergatori e sindaci, non resta allora che affidarsi all’unico comandamento valido: «Piove! Fuori le bacinelle!». 



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