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27/09/2024 08:23:00

Processo Bronzolino, l'uomo che ha dato fuoco alla compagna. Ieri le richieste di prova in Corte d'Assise

  Le richieste di prova sono state, ieri, davanti la Corte d’assise di Trapani (presidente il giudice Daniela Troja), il primo atto del processo a Onofrio “Ninni” Bronzolino, classe 1971, in carcere dal 22 settembre 2023, con l’accusa di avere provocato la morte, a Pantelleria, della compagna Anna Elisa Fontana, classe ’75, gettandole addosso della benzina e dandole fuoco.

Bronzolino è stato rinviato a giudizio, in luglio, dal gup di Marsala Riccardo Alcamo. La donna morì dopo tre giorni di agonia per le gravissime ustioni di 2° e 3° grado sul 90% del corpo. Le richieste di prova sono state avanzate dal pm Diego Sebastiani (Procura di Marsala), dalle parti civili e dalla difesa. L’inchiesta, coordinata dalla Procura marsalese, è stata condotta dal Nucleo operativo Compagnia carabinieri di Marsala e dalla stazione di Pantelleria, con il supporto tecnico-scientifico del Ris di Messina e del Niat dei vigili de1 fuoco. “L’indagine – spiegò, in una nota, il procuratore Asaro - ha consentito di accertare che il Bronzolino avrebbe agito con premeditazione, avendo minacciato esplicitamente la compagna di darle fuoco nei giorni precedenti al fatto, ed a causa di un’esagerata e ingiustificata gelosia”. Tra il 2022 e il 2023, inoltre, l’uomo (difeso dall’avvocato Rosario Triolo) avrebbe maltrattato la compagna, con continue aggressioni, insulti e minacce, ma la compagna non aveva mai sporto querela. Il 4 novembre verranno ascoltati i primi testi del pm. Legali di parte civile sono Marilena Messina, per Anna Bonomo, madre della vittima, Licia D’Amico, per l’associazione “Insieme a Marianna”, Caterina Gabriele, per “Demetra”, Roberta Anselmi, per la “Casa di Venere”, Leo Genna e Marianna Rizzo per i figli della vittima. Rizzo anche per il comune di Pantelleria.

“La nostra presenza nei processi aventi ad oggetto reati di codice rosso – dichiara l’avvocato Roberta Anselmi – è fondamentale per due ordini di ragioni: intanto, per sostenere e dare voce alle donne vittime di violenza per mano degli uomini, e poi per evitare che nelle aule di giustizia si verifichino quegli odiosi fenomeni di vittimizzazione secondaria, la cui radice è principalmente culturale. Spesso, infatti, in questi processi si tende a non credere alla donna ovvero colpevolizzarla, o a stigmatizzarla come corresponsabile di quanto le è accaduto, ‘per essersela cercata’ o ‘per aver messo l’autore del reato nelle condizioni di realizzare quella condotta violenta’. Sul tema della vittimizzazione secondaria – continua l’avvocatessa Anselmi – c’è ancora tanta strada da fare, poiché non tutti i soggetti coinvolti hanno una formazione o una specializzazione specifica sul tema della violenza di genere, elemento fondamentale per individuare e superare gli stereotipi di genere che ahinoi ancora oggi veicolano indisturbati e, purtroppo, anche in maniera inconsapevole nella nostra società”.