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17/09/2024 06:00:00

La diga Delia di Castelvetrano rischia di chiudere, la siccità e la politica regionale

 La Diga Trinità di Delia è a rischio chiusura. E da un riempimento parziale, a causa delle cattive condizioni, si passerebbe allo svuotamento totale. La “minaccia” arriva dal ministero delle Infrastrutture di Roma. E’ come se il governo nazionale avesse detto alla Regione Siciliana: o mettete in sicurezza la diga, oppure la chiudiamo.

Di questa possibilità ne aveva parlato già l’imprenditrice Valentina Blunda che, come referente della consulta degli agricoltori e presidente della cooperativa “Sicily food, Belìce valley” era stata audita lo scorso agosto in Commissione parlamentare Attività produttive e lì aveva chiesto che cosa si intendesse fare per la diga. Ebbene, ieri si è avuta la conferma di questo rischio, durante il consiglio comunale aperto, presso il Baglio Florio del Parco archeologico di Selinunte.

 

Nella seduta, durata più di due ore, erano presenti i sindaci di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Partanna e Santa Ninfa. Ma anche i deputati regionali Dario Safina (Pd), Giuseppe Bica (FdI), Stefano Pellegrino (FI) e l’assessore regionale all’istruzione e alla formazione professionale, Mimmo Turano.

C’era anche il commissario straordinario del Consorzio di bonifica Agrigento 3, Baldassare Giarraputo. Ed è quest’ultimo che ha confermato l’intendimento del Ministero di chiudere la diga in assenza di interventi di messa in sicurezza.

 

Ma non è affatto facile. Il collaudo non è mai stato fatto ed è probabile che i criteri di costruzione di più di 70 anni fa siano molto lontani dalla realizzazione antisismica della struttura. E a questo proposito, l’onorevole Bica ha raccontato di aver parlato con i tecnici, che gli hanno rappresentato una situazione preoccupante: “La diga è considerata pericolosa, il quadro è pessimo. E’ ormai irrecuperabile”.

 

Il paradosso di questa diga sta nell’obbligo del  parziale svuotamento periodico per questioni di sicurezza. Insomma, una quantità d’acqua enorme che va a finire in mare, mentre gli agricoltori rimangono a secco. E’ naturale che i coltivatori, come Fausto Lo Sciuto dell’OP “Belice”, presente insieme ad altri alla seduta, non ci stiano. “Avevamo l’acqua ed è stata buttata a mare – ha sottolineato Lo Sciuto - senza che nessun politico si sia messo contro questa decisione così assurda”.

Purtroppo però la decisione è simile a quella presa per tutte le altre dighe siciliane a rischio, che sarebbero più della metà. E non è poi  così assurda, se si pensa a quello che potrebbe accadere in una zona sismica in caso di cedimento a pieno carico.

 

E’ successa però una cosa strana. L’ha raccontata l’onorevole Stefano Pellegrino. Ci sarebbero 300 milioni di euro per la ristrutturazione delle dighe siciliane. “Ma se nel 2022 il riempimento della diga era arrivato al 64% - dice Pellegrino - come mai dopo i lavori di manutenzione per renderla più efficiente, nel 2023/2024 il livello di riempimento al posto di salire è sceso ulteriormente? Ecco, è un fatto che noi abbiamo contestato agli uffici tecnici”. Mistero.

E’ difficile districarsi nei meandri delle competenze e delle responsabilità, tra quelli di adesso e quelli di prima. E il risultato, come ha affermato la consigliera comunale Enza Viola, intervenuta anche come responsabile provinciale degli agricoltori italiani, è il fallimento della politica regionale, che “ha abbandonato da 30 anni la valle  del Belice, con condotte idriche colabrodo, senza che fosse mai arrivato un euro anche solo per la realizzazione di una vasca”. Che fare allora? “Rifare le tubature – ha affermato la Viola – perché nel Belice non si va solo per raccogliere voti regionali”. Ma anche per quello, occorrono i tempi burocratici.

Intanto, come ha sottolineato il consigliere di Castelvetrano, Francesco Sammartano, ci sono agricoltori che non ricevono una goccia d’acqua da sei anni e, come ha detto Francesco Marino della Consulta Agricola Spontanea, “l’annata è compromessa, con una produzione inferiore del 40% rispetto all’anno corso”.

 

E le colpe?

Secondo Safina sono del Governo nazionale, vero convitato di pietra in questa vicenda, che dovrebbe intervenire. Secondo Bica, invece, le responsabilità sarebbero anche locali, nel senso che una migliore gestione dell’idropotabile, comporterebbe indirettamente una maggiore destinazione d’acqua per l’agricoltura.

Per Turano invece non serve stabilire di chi siano le colpe. Ci sono per esempio delle pompe che non funzionano in contrada Zangara, che se avessero funzionato avrebbero garantito un 50% di irrigazione in più. Non ne ha parlato nessuno.

 

Ma che fare da qui  a marzo/aprile? – si è chiesto il sindaco di Campobello, Giuseppe Castiglione – senza polemiche inutili, quali interventi a breve termine possono essere previsti?”.

Per Bica, nell’immediato, si potranno utilizzare le acque reflue del  depuratore di Castelvetrano, che sarà sostenuta dalla Regione Siciliana per tutto  il primo anno. E la riattivazione dei pozzi grazie ai finanziamenti regionali: Castelvetrano ne ha già beneficiato per un pozzo. Che sarà anche per l’idropotabile, ma comporterà più acqua per l’agricoltura.

Anche il sindaco Giovanni Lentini ha messo l’accento sull’uso irriguo delle acque reflue, specificando che l’acqua depurata proveniente dalla struttura di via Errante Vecchia “raggiungerebbe i 3 milioni e 750 mila metri cubi, contro i 2 milioni di metri cubi della diga Delia. Senza contare che tra due anni si aggiungerebbero anche i  reflui provenienti da Triscina. Mentre nel futuro occorrerebbe investire nelle nuove tecnologie, in modo da consumare meno acqua”.

Anche Turano ha fornito un suggerimento: “Occorre fare una scaletta delle cose che si possono fare a breve, medio e lungo termine. Un elenco delle criticità in un documento da consegnare al governo regionale e al governo nazionale. E ci rivediamo tra tre mesi”.

 

Egidio Morici