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15/09/2024 06:00:00

Ci stiamo abituando a non avere

Una carezza al cuore martedì scorso, il luogo la Cavea dell’Auditorium Parco della Musica a Roma assistere ad un spettacolo complesso_Alessandro Baricco, Giovanni Sollima, Enrico Melozzi, i 100 Cellos, Stefania Rocca e Valeria Solarino che hanno messo in scena “Tucidide. Atene contro Melo”_ e come in un time lapse fotografico, preso posto e facendo due chiacchiere con la mia compagna di scorribande estive, osservavo quel luogo riempirsi (quasi 3.000 persone) in un giorno feriale.

Un passo indietro: gennaio 2003, riunione a Scuderie del Quirinale a Roma per discutere di cose di FotoGrafia Festival Internazionale - al tempo brigavo con la fotografia - e a quel tavolo tutti apprendemmo che Carlo Fuortes (allora direttore delle Scuderie) sarebbe andato a dirigere una società ad hoc - Musica per Roma - costituita per rivitalizzare e sviluppare il nuovo progetto dell’Auditorium firmato Renzo Piano.
La politica capì che quel luogo magico e con quella conduzione sarebbe finito in un vicolo cieco ed ebbe un colpo d’ala, una visione alta altissima che avrebbe generato posti di lavoro, che avrebbe ed ha dato vita ad uno degli esperimenti più interessanti quanto a Piazze della Cultura.

Quella politica comprese che a dispetto di pesi e contrappesi doveva affidarsi ad un esperto per un’operazione di rilancio autentica, e ci riuscì.
Vinci facile, dirà il lettore, siamo a Roma.
Non è proprio così e credimi, assistere ad una Cavea che si va riempiendo di martedì sera, per uno spettacolo non semplice, emoziona; poi aperto il cassetto della memoria e ti rendi conto che quel colpo d’ala fu un progetto costruito e pensato per lo sviluppo di una Comunità, in mezzo vent’anni.
Una politica che delimita un perimetro, che crea le condizioni per una gestione terza e la macchina iniziò a camminare prima, poi a correre. Oggi Musica per Roma è una Fondazione, complessa come macchina da gestire, sta su strada e soddisfa ogni palato ma sopratutto è una realtà acquisita dalla Comunità tutta.

Mentre scrivo, leggo un pezzo del Direttore su L’inkiesta “Binario morto_in Sicilia occidentale hanno abolito i treni” e sorrido con amarezza ad una realtà. Il sentimento è dato da fatti: se tu nel tempo vai sottraendo un pezzo alla volta ad un contesto che già di suo ha poco, cosa resta? L’assuefazione al poco: e qui non si parla di sola cultura ma di un soggiacere ad uno stato di cose che ci trasciniamo da decenni, e dove al più lo sdegno è un’alzata di spalle.
Quella ferrovia, nella nostra Sicilia occidentale è emblema o metafora di quella mancanza assoluta di visione, di quel tirare a campare perché il problema è l’attesa sotto il sole al passaggio a livello e non magari di una mobilità sostenibile o forse forse di avvicinarci noi a modelli diversi di vita diversi.

Delimito il campo di azione, se togli il teatro, il cinema, la biblioteca, gli spazi espositivi, i contenitori culturali tout court e li immagini di fatto solo come cubature in Città, forse abbiamo da ripensare molto e tantissimo c’è da fare per arginare una emorragia di risorse umane che nessuno vuol conteggiare. E’ scomodo.

In fondo che lavoro fanno Massimo Pastore, o Barbara Lottero o il collettivo A Scurata o i ragazzi di Nonovento, e mi scuso per i tanti altri che non cito e che faticano?
Animano persone e di conseguenza luoghi, come Socrate lavorano per tirar fuori entusiasmi e meraviglie sopite, e lo fanno da privati - chi supportato in quota parte dal pubblico e chi per altre strade - ma stanno sul pezzo e da professionisti si mettono in gioco.
Perché la Politica tutta non vuol vedere che il contesto è cambiato? Che oggi, ma in verità da tempo, devi costruire modelli sostenibili di gestione e dove all’interno di questi far decollare progettualità coerenti con il territorio?
O da inguaribile ottimista devo pensare altrimenti ovvero che il binario che stiamo percorrendo sia un ramo secco ogni tanto diversamente assistito?
Abbiamo la necessità di volare alto tutti, di una apertura alare che ci faccia staccare da terra e da un punto di vista diverso prendere coscienza che ce la possiamo fare a tornare a crescere.
Lo scrivo con noiosa puntualità, dobbiamo cambiare registro e dove le contaminazioni siano la normalità del vivere e dell’andare oltre.
La Politica, perché a lei mi rivolgo, lo avrà un sussulto? Io ci credo

Giuseppe Prode
 



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