Gentile Sindaco di Mazara, Salvatore Quinci, Nella terza parte de “Le città invisibili” di Italo Calvino, Marco Polo si rivolge così all’imperatore Kublai Khan: “D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”. Senza voler muovere paragoni azzardati con il grande viaggiatore veneziano e prima di lasciare la mia città e tornare a quel lavoro che qui non ho mai trovato, volevo che rispondesse a qualche mia domanda.
Come ci si sente a essere il sindaco di una città splendida come Mazara del Vallo? Che effetto fa essere insignito, per ben due volte consecutive, primo rappresentante di una cittadina che continua a sfolgorare nonostante le brutture, le rotture e i rifiuti? Nonostante l’incuria, la negligenza, la sonnolenza e la mancanza di rispetto del bene comune da parte di chi l’amministra e di una grande porzione di cittadini che la mortifica continuamente? Come ci si sente a non poter rispondere a queste domande con la solita frase che scarica la responsabilità sull’amministrazione precedente riguardo alla munnizza dilagante che umilia uno dei luoghi del litorale occidentale siciliano più intrisi di storia, di bellezza e risorse di ogni tipo e per questo più invidiati al mondo?
Il filo rosso che mi lega indissolubilmente a questa città, alla terra oltre che al mare, alle radici, alle tradizioni che mi sono state tramandate, alla lingua siciliana da sempre veicolo e strumento di misura per l’acquisizione delle altre lingue che conosco, convalida il mio essere siciliana e mazarese a tutti gli effetti nonostante non risieda più qui per i motivi accennati prima. Ciò non mi priva, tuttavia, del diritto di pretendere le risposte alle domande che mi tormentano ogni volta che torno e scopro la mia città ancora più trascurata.
Gentile Sindaco, non so se l’è mai successo, ma mi creda se le dico che ci si innamora della propria terra soprattutto quando la si deve lasciare, quando ci si alza ogni giorno e non si può più dare per scontato un mare che di mattina è una cosa sola con il cielo. Il posto del cuore in cui si nasce si apprezza di più da lontano, dai luoghi in cui si arriva ad avere nostalgia pure del pattume che orla le sue strade, la periferia, il centro, quello storico e meno storico, i vicoli del quartiere ebraico che si mescola con l’antico quartiere arabo che tanti amano definire Kasba, nei pressi delle cento chiese che dialogano con i minuscoli cassonetti sporadici, rancitusi e stracolmi di rifiuti non recuperati addirittura alle nove e venti di una qualunque mattina di agosto, come lungo la via Santa Caterina, o in via San Michele, decorata di scaffe sull’asfalto grandi come quelle di certe trazzere ancora sterrate di Quarara, di Tonnarella, di Transinico, di lu Stazzuni, etc, le quali, da che ho memoria io, sono prive di qualsiasi illuminazione se non quella delle case private. E ancora sudiciume e incuria nei pressi delle riserve naturali, come quella di Capo Feto, non meno importante di quella dei Gorghi Tondi ma dimenticata da molti se non per andarci a scaricare ancora munnizza, bambole rotte, bombole vuote, materassi, frigoriferi, reti di letto spasciate, pannolini e il cartone della pizza mangiato ieri sera davanti al falò sulla spiaggia, senza che nessuna telecamera di sorveglianza abbia ripreso il fatto. Dopo aver scomodato Calvino, non si offenda se prendo in prestito le frasi che qualche giorno fa Sonia Bergamasco ha utilizzato a Selinunte per celebrare la nostra isola descrivendola come una bestemmia di bellezza. E ancora: “Per i siciliani che andranno in paradiso, il giorno del giudizio universale sarà un giorno come tutti gli altri”.
Di bellezza ne abbiamo così tanta che manco la vediamo più; perciò, quando finiamo di allisciare le nostre case e stricare persino il chiano con ettolitri di candeggina, dovreste ricordare alla cittadinanza, a tutti noi, che oltre la siepe c’è un bene comune da difendere, da abbellire, da rispettare, da promuovere per tutto quello che ci offre e che non viene solo dal mare, come abbiamo insegnato a dire a certe trasmissioni televisive che ci riservano solo piccoli siparietti legati alla Marina che abbiamo fatto impoverire. Dovreste e dovremmo gridare al mondo che Mazara è molto altro, è mare e terra. Immense distese di terra fertile che ai tempi delle grandi manovre commerciali legate al vino Marsala forniva alla città vicina parte dell’agro utile alla sua produzione e un porto pronto alla sua esportazione tramite i binari che dal porto arrivavano direttamente alla stazione, oggi sepolti sotto colate di cemento ma ancora evidenti. E dire che Milano Centrale ha fatto del Binario 21 (Memoriale della Shoah) un sito di attrazione per non dimenticare lo scenario agghiacciante delle deportazioni di tanti italiani partiti per i lager nazisti e le tracce del nostro glorioso passato, invece, devono essere dimenticate sotto l’indifferenza e la mancanza di attenzione ai beni comuni.
Di cosa ha bisogno la nostra Mazara del Vallo in più rispetto a quello che già non possiede per diventare capitale della cultura, della ricchezza, della storia, della bellezza? Come ci si sente ad essere primo cittadino di un posto che possiede una delle statue più ambite al mondo? Di un posto ricco di artisti, di gente di valore anche tra i Suoi collaboratori, di risorse umane e paesaggistiche che rimangono ignorate, non contemplate? Come ci si sente a rappresentare una città in cui la Natura straripa nonostante tutto, nonostante noi, nonostante voi? Ha mai notato come la fratta riesce a venire fuori dappertutto, nonostante sia continuamente circondata dalla munnizza? L’erbaccia spontanea che da noi raggiunge altezze considerevoli la vediamo spuntare dappertutto. Viene fuori contenta anche attraverso le balate di marmo spaccate dei marciapiedi, lungo gli scolatoi.
Svetta addirittura fuori dai tombini, perché la nostra Natura è potente e vince sulla Bruttura. Ormai fa parte dell’arredo, solo che a differenza delle piante secche che dimorano nelle casarìe messe a bella posta lungo certe scalinate dove orde di turisti si fanno i selfie, queste esistono e resistono nonostante la siccità, come gli enormi alberi di ailantus che in passato garantivano ombra lungo tutto il lungomare, non sporcavano e costavano poco, anzi niente, perché l’ailantus è una pianta spontanea e resistente e non è tra i piatti preferiti del punteruolo rosso che negli ultimi anni ha raso al suolo la quasi totalità delle palme di tutte i paesi mediterranei. Non mi dica che anche Lei si è messo a sfidare lo scavacchio africano? Mi dica piuttosto che l’esperimento di piantumazione di palme all’ingresso del nuovo parcheggio (non funzionante) di Piazzale G.B. Quinci era solo un’operazione di identificazione dei parcheggi pubblici, come il nuovo parcheggio sul lungomare San Vito in prossimità del sottopassaggio che accoglie una piccola serie di palmuzze secche e abbruciate invece di piante da ombra. Se lo immagina tutto il fresco che avrebbero creato gli ailantus piantati lì senza troppo dispendio economico? No, temo proprio di no.
Le hanno già mosso parecchie critiche per la storia della pista ciclabile, non vorrei mettere il dito nella piaga, le dico solo che abbiamo da imparare ancora tanto persino dai coreani del sud che si sono inventati una pista ciclabile coperta da pannelli solari, così, perché magari prendono due piccioni con una fava. Noi no, noi le cose le facciamo una per volta anche sbagliate, anche inutili, anche senza alcun criterio logico e logistico. Non si offendano i ciclisti mazaresi che finalmente hanno un percorso dedicato e spero possano essere emulati dalla maggior parte dei mazaresi che la passiata serale e domenicale se la fa in macchina anche solo per andare a comprare la brioscia da Ciolla anche se abita in via San Giovanni. Mi rendo conto che le mie domande stanno diventando troppe, tuttavia le chiedo se nel momento della scelta di un bando finanziato dal PNRR non ce ne fosse qualcuno anche per l’acquisto di secchi di pittura, giusto per dare una mano di bianco (e magari di giallo) alla segnaletica stradale orizzontale? Magari un fondicchio, quattro soldi insomma, per l’acquisto di cassonetti più grandi, meno arrugginiti, più numerosi? Ho avuto difficoltà a trovarne anche in prossimità del lungomare che ci invidiano in tanti per la bellezza, il valore storico, folkloristico e religioso, quel posto sacro che continuiamo a celebrare più volte l’anno per un Santo expat che a Mazara non è potuto tornare nemmeno per morire.
Anche io come Vito sono expat da quando avevo vent’anni. Ho abitato posti che farebbero carte false per avere anche una piccola percentuale di quello di cui dispone Mazara. Nonostante ciò, nonostante ci si affanni (soprattutto all’estero) a inventarsi origini sacre o monumentali di qualche pietruzza che ogni tanto viene fuori da scavi più o meno probabili, io stessa sono arrivata ad invidiare il senso del rispetto che queste realtà hanno nei confronti del bene comune e l’energia e la voglia che dispongono per trasformarlo in risorsa paesaggistica, turistica, economica. A noi cosa manca? La munnizza ce l’abbiamo già. Cos’altro ci manca?
Gentile Sindaco, si è accordo di quale grande privilegio gode ad essere il primo cittadino della mia Mazara del Vallo? Gentile Sindaco, “D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.
Cordialmente, Angelita