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26/08/2024 06:00:00

Morire di carcere in Sicilia

Nella Sicilia della siccità ci sono luoghi dove l’acqua non arriva, ma gli ospiti non possono lamentarsi. Nell’isola delle temperature record e delle notti tropicali ci sono corpi madidi di insonnia e sudore, senza il piacere dell’aria condizionata, la pietà di un ventilatore, la sapienza di una finestra socchiusa, come facevano gli antichi, quel tanto che basta per fare passare un filo d’aria. Nella Sicilia degli allarmi per i turisti in fuga, anzi no, anzi, sono troppi e non sappiamo che farne, ci sono luoghi che registrano un overbooking osceno, un’offesa alla dignità delle persone.


Sono le ventitré carceri siciliane, che hanno vissuto, come il resto delle carceri italiane, un’estate tormentata, nel disinteresse di gran parte dell’opinione pubblica e nell’incapacità della politica tutta di trovare una soluzione che permetta alla pena, giusta, di non essere anche un supplizio infame.


In Sicilia il sovraffollamento ha superato la soglia del centosedici per cento. Mancano inoltre, nella pianta organica, ottocento agenti di polizia penitenziaria in tutta la regione. Le condizioni degli istituti di pena sono, nella gran parte dei casi, fatiscenti, con interventi di ristrutturazione di padiglioni ed edifici che vengono rimandati da decenni per mancanza di fondi, infissi arrugginiti, spazi angusti. Sono i dati che emergono dall’ultima relazione del Garante dei Detenuti, Santi Consolo.

L’Ucciardone, il carcere simbolo di Palermo, quello che i mafiosi chiamavano “Grand Hotel Ucciardone”, per la facilità di contatti con il mondo esterno e di visite riservate (molti summit di mafia si tenevano proprio per riservatezza in carcere, ed erano leggendarie le cene organizzate per i detenuti e le visite delle prostitute su richiesta…) è oggi sulla soglia della crisi igienico sanitaria. Una situazione che però è meno grave di quella di Augusta: lì, per ogni detenuto sono garantiti solo 5,4 metri quadrati di spazio. Il minimo per legge, in teoria, è di nove metri quadrati. I detenuti sono esasperati: proprio negli ultimi giorni uno di loro, per protesta, ha dato fuoco alla cella.


Una situazione spaventosa, soprattutto d’estate, quando le lunghe turnazioni idriche costringono i detenuti a fare i conti con l’impossibilità di una semplice doccia, nel caldo infernale delle celle che di notte supera i quaranta gradi. Cosa fare? Deputati regionali e nazionali, nella settimana di Ferragosto, hanno visitato gli istituti di pena e stilato un report impietoso. Di fronte alla disperazione di alcuni detenuti, i deputati regionali Ismaele La Vardera (Sud chiama Nord) e Valentina Chinicci (Partito democratico) hanno messo mano al portafoglio e donato centotrenta ventilatori da collocare in altrettante celle dell’Ucciardone. Un alito di solidarietà in un clima sempre più infuocato. Donatella Corleo è a capo della delegazione dei Radicali che ogni anno, in estate, visita le carceri italiane. Ne ha viste di tutti i colori, ma, sono parole sue, dalla visita all’Ucciardone è uscita «sinceramente provata». Quello che era già un carcere al tempo dei Borbone oggi è una «una struttura inadeguata per accogliere i detenuti e che è lontana dal progetto di reinserimento sociale dei reclusi che per lo più sono di estrazione socio economica molto bassa».

Migliore la situazione al carcere minorile, l’Ipm Malaspina. Alcune camere sono inagibili per un incendio del 2023, e ci sono enormi problemi di bullismo e di scontri tra italiani e stranieri. Il personale è poco, gli arredi fatiscenti. Altro che “Mare Fuori”: la serie tv di culto prodotta dalla Rai ha reso popolari gli Ipm, ma la realtà è molto diversa dalla fiction, come sempre. Più che il mare fuori, come le spaziose celle con vista mare della serie Rai, questi hanno il mare dentro, per l’umidità che devono sopportare.

Davanti l’Ucciardone, il giorno di Ferragosto, diverse associazioni per i diritti degli ultimi hanno organizzato un sit-in. Tra i manifestanti anche Totò Cuffaro, sempre lui, che è stato in carcere a Rebibbia per cinque anni e che da quando ha toccato con mano il mondo dei detenuti lotta per i loro diritti. Le proposte sono sempre quelle: amnistia e indulto, svuotare, in pratica, per trovarsi di nuovo con l’acqua alla gola, tra qualche anno, senza una riforma strutturale. «Questi uomini e queste donne, anche se hanno commesso errori – dice Cuffaro – hanno una loro dignità che va rispettata e preservata».

Le storie da dentro, che arrivano fuori, sono tante. Storie di suicidi – anche tra appartenenti alla polizia penitenziaria (a Palermo, il 2 agosto, un agente dell’Ucciardone si è tolto la vita, è il settimo dall’inizio dell’anno) – di aggressioni, di gravi patologie non curate, di chi non ce la fa.

Storie di persone che attraversano strazi particolari e chiedono solamente un gesto di umanità. È il caso di un giovane che si trova al carcere di Trapani, dove i detenuti, per dirla con Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, «stanno drammaticamente stretti».

Un appello è stato lanciato dalla famiglia del giovane G.M., classe 1997, che da oltre un anno è detenuto. G.M. ha subito un intervento chirurgico ortopedico alcuni anni fa, con l’applicazione di una protesi alla gamba. Tuttavia, durante il periodo di detenzione, ha sviluppato seri problemi: le protesi si sono spostate, provocando fuoriuscite evidenti, dolori intensi e gravi difficoltà a fare anche dei semplici passi. «Nonostante la gravità della situazione, gli operatori sanitari del carcere si sono limitati a somministrare blandi antidolorifici, –racconta la sorella – ignorando la necessità di interventi più adeguati». Solo dopo una caduta del giovane e una vibrata protesta dei compagni di cella, G.M. è stato trasportato d’urgenza all’Ospedale di Trapani. Qui è stato sottoposto a un intervento chirurgico tampone per rimuovere la protesi, ma i medici hanno comunicato che era necessario un intervento più complesso presso un centro di alta specializzazione ortopedica.

Il paradosso è che, dopo l’intervento, senza alcuna degenza ospedaliera, G.M. è stato riportato in una cella affollata e priva di accorgimenti igienico-sanitari. Nel carcere di Trapani, tra l’altro, i detenuti stanno in cella venti ore al giorno, escono per sole due ore, caso unico in Italia. Nei bagni non c’è aerazione. Dai rubinetti l’acqua esce di colore marrone. Questo ambiente comporta un alto rischio di infezioni, che si sono puntualmente verificate nel caso di G.M: nonostante due urgenti ricoveri ospedalieri per i forti dolori alla gamba operata è stato sempre riportato in cella.

Il detenuto ha sporto denuncia contro i sanitari del carcere per le cure tardive e inappropriate. Tuttavia, il paradosso è che ora dovrebbe essere curato e seguito dagli stessi operatori che ha denunciato. Ad oggi, quasi due mesi dopo l’ultimo intervento, non è stato ricoverato in una struttura ospedaliera adeguata. Il suo difensore ha presentato ben cinque istanze al magistrato di sorveglianza per chiedere la sospensione della pena o il ricovero in una struttura ospedaliera, ma non ha ricevuto alcun riscontro. «Mio fratello soffre di una gravissima infezione che, se non trattata adeguatamente, potrebbe degenerare in cancrena, nella più assoluta indifferenza delle istituzioni – racconta la sorella tra le lacrime – Chiediamo che venga trattato con la dignità e le cure che ogni essere umano merita». E invece, per un’infezione non curata, adesso rischia di perdere una gamba.