Quando scendo al paesello, torno sempre nella zone, alla mia ballotta, cioè a Sappusi: quartiere nord di Marsala dopo il parco della Salinella.
Il blocco è un lotto. Palazzi popolari a schiera come galeoni sul mare con i balconi di cemento e tufo. Strada e sabbia, dove i silenzi sono ruggiti.
Passeggio nei cortili di Sappusi, le serrande si sottraggono allo sguardo. Bisogna coglierla di sorpresa Sappusi.
Le esalazioni ristagnano sui tetti e il fumo opaco non si disperde. Sulla strada il bruciaticcio delle vite bruciate, le Apecar di ferro viecchio e i Liberty che si aggirano come formiche nell’odore del meriggio.
Sappusi è la distanza dal suolo di un lampione e i piedi penzolanti di un bambino sul balcone, l’altezza di quella ringhiera e il salto che la scavalca al tramonto, l’inclinazione di una grondaia e l’incedervi di un gatto che s’infila nella finestra.
Sappusi è una spugna gonfia di materia vitale che scorre.
Le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere.
E’ la spazzatura di ieri che s’ammucchia sulle spazzature dell’altro ieri e di tutti i suoi giorni e anni lustri. Richiami di neorealismo.
Il passato di Marsala qui è scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nei preservativi arrotolati, nelle vecchi bende, nelle carte unte, nei resti degli spaghetti e del cous cous.
Sappusi come S.Agabio, la Rizzo o S.Andrea a Novara; Rozzano e Baggio a Milano, Torpigna e Torbella a Roma, Scampia e Secondigliano a Napoli, il Capo e lo Zen a Palermo.
Ognuna di queste “periferie del mondo" trova sempre due elementi in comune: la vitalità dei propri abitanti e il deserto a cui si oppone, quello della città.
Anche a Sappusi tutto l’immaginabile può essere sognato, ma anche il sogno più atteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, la paura. Se vuoi sapere quanto buio nasconde questo quartiere, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane.
La mia luce lontana si chiama Salvatore Inguì, assistente sociale, Direttore dei servizi uffici sociali per minori a Palermo, referente provinciale di Libera Trapani.
Per me Salvatore è una specie di Capitano Uncino mescolato ad Acab e Tiziano Terzani.
Insieme a Libera Trapani Amici del terzo Mondo Marsala, Associazione Archè ONLUS Libera Orchestra Popolare e tante altre associazioni del territorio, Salvatore gestisce il centro sociale di Sappusi e crea insieme ai suoi abitanti diversi momenti di convivialità e di crescita comunitaria: dalla falegnameria sociale, alla palestra, dalle orchestre popolari ai corsi di canoa e il cinema all’aperto, i corsi di equitazione e il teatro dei pupi.
E’ bello sapere che qui esistono persone come Salvatore.
Ecco quello che dovrebbe capire chi governa la città. Sappusi non è solo un quartiere "da migliorare", come fosse un'operazione di lifting o di chirurgia estetica. Ma un luogo da riempire di persone, di relazioni, di spazi e di tempo.
Sappusi deve diventare una poesia a forma di rosa.
Se vogliamo che questa rosa cresca e si convinca a profumare dipenderà da ognuno di noi.
Ciascuno qui è custode di chi ha accanto: per parentela, per amicizia, per lavoro, per vicinato.
Ciascuno è affidato ad altri e altri sono affidati a noi.
E’ responsabilità di tutti verso tutti, di ciascuno verso tutti e di tutti verso ciascuno.
Come diceva Italo Calvino: l’ inferno è quando le cose non si compiono. L'inferno è quando ogni seme non diventa rosa.
L’inferno non è qualcosa che sarà; se c’è n’è uno, è quello che è già qui.
Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettarlo e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Giuseppe Passalacqua
Docente di scienze umane e filosofia