Settembre 2019, Matteo Renzi lascia il Partito Democratico e fonda Italia Viva, portandosi dietro una pattuglia di deputati. Si tratta di una strada tutta in salita, ma Renzi scommette sul nuovo progetto.
Con lui ci sono molti militanti, una base solida che chiede di riconoscersi in un’ala moderata e riformista, raccolgono ex dem ma anche moderati, delusi perlopiù dalle gestioni locali del partito. Trova un equilibrio. Il primo problema è la riconoscibilità del simbolo, che non viene veicolato come avrebbe dovuto; semplicemente, ad ogni competizione si cambia simbolo, l’elettore medio fa fatica a riconoscerlo nella scheda elettorale e nei vari comizi. La classe dirigente, ogni competizione, mette al petto una spilla per poi riporla dopo 45 giorni, per non essere mai più ripresa. Fa parte del gioco politico, fa parte dell'inquietudine politica del personaggio Renzi. Con lui i fedelissimi formano un cerchio magico che a quello di Silvio Berlusconi fa un baffo. A cinque anni esatti dalla fondazione, IV cambia pelle per non morire, si riavvicina al Pd, al campo largo. Ritorna a quella casa che Renzi ha rottamato, combattuto politicamente, in un'area politica che, di certo, non lo vede di buon occhio tanto da chiedere la raccolta firme contro il Jobs Act, riforma con il bollo renziano per eccellenza. Nonostante le percentuali minime, comunque, è artefice del fallimento del governo Conte; ora, però, chiede di essere alleato del M5S, l'ago della bilancia. Il nuovo Dini o Mastella italiano.
L’operazione Terzo Polo non sfonda alle urne, non sfonda nemmeno IV.
Non è solo un problema di partito, di presenza, di organizzazione. È soprattutto un problema di coerenza politica, terreno irto per i renziani e verginità da ricostruire. Cambiano opinione come le mutande. A fasi alterne, però, cristallizzano il potere là dove possono nei giunte e sottogoverni di centrodestra, con la complicità di chi non solleva né dubbi né ragioni di opportunità e nemmeno linee politiche. Accade perché mancano i leader territoriali. La terza via fallisce per questo, non solo per il bipolarismo, ma perché i due leader, Renzi e Carlo Calenda, litigano e sui palchi condizionano lo show che producono, applausi e poi urne vuote. L’epilogo era quasi scontato a chi un po' di politica la mastica. Certo, adesso bisognerà capire come si coniugano le politiche del lavoro di IV con quelle del M5S, che sono opposte e contrarie, che sono state terreno di scontro fino a tre giorni fa. E poi c’è il garantismo renziano contro il giustizialismo della sinistra, caos divergente anche sulla tassazione. Punti convergenti? Li troveranno e saranno mascherati dalla necessità di sopravvivere alla prossima tornata, portando i fedelissimi in Parlamento, che sono molto meno di quelli che si pensa. Elly Schlein non ha posto veti, gli altri partiti del campo largo sì, ci sono delle anomalie e il leader di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, lo dice chiaro riferendosi all’esperienza di governo di IV con il centrodestra: “Le giunte di Genova e della Basilicata per esempio sono esperienze finite? Renzi sta organizzando una conferenza stampa per annunciare l’uscita? Fino a quando questo non avverrà, inutile discutere. È puro teatro". Stessa reticenza per il deputato Michele Gubitosa, M5S: "Renzi entra nei partiti e distrugge tutto, dalla base ai leader. Lo abbiamo già visto con il governo Conte e con il Pd. Purtroppo, a noi preoccupa l’inaffidabilità politica. Poi il Pd fa quello che vuole ma per noi Renzi, e i Dem lo sanno, è un problema”. C’è tempo fino al 28 settembre, a Roma si terrà l’assemblea nazionale di IV, possibile altra piroetta.
Intanto a essere minata è la credibilità politica (poi non ci si scomodi a fare appelli agli elettori per andare a votare), la grande ammucchiata, ancora senza alcun punto programmatico in comune, si basa su un nemico da abbattere, che viene costruito intenzionalmente. Perché, con buona pace di chi legge solo i titoli, non c’è nel Paese alcun pericolo di dittatura, fascismo, scelte illiberali. Si chiama nemico immaginario, si chiama creazione di una scusa per giustificare l’alleanza.