9 agosto 1960, era una notte come le altre per l'equipaggio del motopesca "Salemi", un'imbarcazione di 50 tonnellate appartenente alla marineria di Mazara del Vallo, impegnata nella pesca a strascico nelle acque internazionali del Mediterraneo.
A bordo, 11 uomini lavoravano duramente, inconsapevoli del tragico destino che li attendeva. Tra di loro c'erano l'armatore Luigi Licatini e il comandante Antonino Genovese, figure centrali in quella comunità marinara. Assieme all'armatore Licatini c'erano i figli Matteo e Giuseppe, Onofrio Quinci, Nicolò Bono, Salvatore Giacalone, Francesco Ciambra, Giuseppe Alagna, Pantaleo Giacalone e Ignazio Margiotta.
L'agguato nelle acque internazionali - Il "Salemi" si trovava a circa 5 miglia dall'isola di Kuriat quando, intorno alle 03:00, una motovedetta tunisina si avvicinò minacciosamente all'imbarcazione italiana. Non era la prima volta che i pescatori mazaresi si trovavano a fronteggiare la prepotenza dei militari stranieri, spesso intenzionati a sequestrare i pescherecci per presunte violazioni delle acque territoriali, definite in modo controverso da decreti unilaterali come il "decreto beicale" del 1951.
Lutto per la comunità di Mazara e per l'intera Nazione - La notizia della tragedia si diffuse rapidamente, sconvolgendo non solo la comunità di Mazara del Vallo, ma anche l'intera nazione. I funerali di Licatini e Genovese videro la partecipazione di alti rappresentanti del governo, ministri e autorità locali, riflettendo la gravità dell'evento. Licatini, in particolare, lasciò dietro di sé una famiglia numerosa con sette figli, tra cui due che assistettero in prima persona alla tragedia.
Il tragico agguato subito dal motopesca "Salemi" non può che ricordarci i tanti episodi di pescherecci della marineria mazarese attaccate dalle autorità libiche o tunisine, in particolare, ricordiamo quanto accaduto nel 2020, con 18 pescatori rimasti per 108 giorni nelle galere libiche.
