La polizia, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, ha arrestato cinque persone - due delle quali già condannate in via definitiva per associazione mafiosa - accusate di una serie di condotte reiterate di estorsione e illecita concorrenza con minaccia o violenza, aggravate dal metodo mafioso, e di avere agevolato l’associazione mafiosa denominata Cosa nostra. In base alle indagini, condotte dallo Sco, dalla Sisco di Palermo e dalle squadre mobili di Agrigento e Palermo è stato ipotizzato il «pervasivo controllo e la gestione illecita delle attività agro-pastorali» sul territorio di Santa Margherita Belice, Montevago e Sambuca di Sicilia, località della provincia di Agrigento, fino al confine con Contessa Entellina, che invece si trova nel territorio della provincia di Palermo.
In carcere Giovanni Campo di 33 anni, Piero Guzzardo di 45 (che è stato prima portato in questura, ad Agrigento)) e Pasquale Ciaccio di 58. La misura cautelare è stata notificata in carcere a Pietro Campo -di 72 anni, che era già detenuto (ne parliamo qui). Ai domiciliari Domenico Bavetta di 42 anni. C'è anche una sesta persona indagata.
Gli indagati, avvalendosi della indiscussa forza intimidatoria derivante dall’essere riconosciuti quali esponenti di vertice del mandamento mafioso di Santa Margherita di Belice, avrebbero attuato un incisivo controllo sull’economica agro-pastorale dell’area e sull’utilizzo dei fondi agricoli dell’entroterra belicino.
In particolare, sono stati registrati diversi episodi in cui gli indagati, avvalendosi del metodo mafioso, avrebbero costretto i proprietari e i gestori dei terreni agricoli a cedere la disponibilità di ampie aree di terreno da adibire al pascolo abusivo del bestiame, imponendo il pagamento di canoni irrisori che, in alcuni casi, non sarebbero stati nemmeno corrisposti. Il controllo dei terreni agricoli si sarebbe tradotto, in alcuni casi, anche in un divieto di esercitare attività agricole collaterali che alterassero il libero pascolo delle greggi, così imponendo di fatto uno stringente predominio su beni immobili altrui, anche funzionale alla massimizzazione dei profitti derivanti dalla produzione lattiero-casearia.
«In tale ambito - spiegano gli investigatori - è stata talvolta registrata anche l’assenza di minacce esplicite, potendo gli indagati imporre la propria volontà facendo ricorso ad atteggiamenti intimidatori silenti, ai quali ha fatto eco la capacità di assoggettamento derivante dal loro riconosciuto ruolo criminale nonché i molteplici episodi di danneggiamento (incendio, taglio delle colture e furti di bestiame) - consumati da ignoti - subiti negli anni proprio dai proprietari che avevano deciso, invece, di adibire i terreni a coltivazioni che avrebbero limitato il pascolo delle greggi».
Le indagini si sono avvalse anche delle dichiarazioni di alcune vittime che si sono opposte al «sistema di controllo» del settore, facendo emergere anche alcuni episodi in cui, dopo la trebbiatura operata dai proprietari, le derrate sarebbero state indebitamente acquisite e imballate dagli indagatiue in carcere senza versare alcun corrispettivo.