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10/05/2024 06:00:00

La bomba a Castelvetrano. Nuovi equilibri mafiosi dopo Messina Denaro? Oppure…

 Come ha già scritto il suo avvocato, al momento non è possibile stabilire con certezza che Leonardo Milazzo sia stato l’obiettivo dell’intimidazione di qualche giorno fa, nel quartiere Palma a Castelvetrano. La bomba che ha causato un grosso boato è stata infatti piazzata davanti l’ingresso dell’edificio dove, oltre al Milazzo, abita anche un’altra famiglia.

Ma chi è Leonardo Milazzo?

 

Condannato per mafia a 6 anni e 10 mesi nel processo Annozero sui favoreggiatori di Matteo Messina Denaro, la sua auto andò in fiamme nel febbraio scorso, quattro mesi dopo essere stato scarcerato. Cause accidentali, si disse.

Milazzo però, in base a quanto emerso da quell’indagine, gli esplosivi li confezionava. Ed era tenuto in grande considerazione dagli altri sodali, che lo elogiavano per questa sua straordinaria capacità. Anche se poi all’atto pratico il gruppo non è che fosse tanto performante.

 

Un esempio per tutti, quella volta che su ordine di Gaspare Como, cognato di Messina Denaro, avrebbero dovuto fare in tre un attentato contro un imprenditore.

Ma mentre lanciavano le bottiglie incendiarie, l’imprenditore si trovava in casa. E se fosse uscito? “Davvero casomai usciva, davvero lo ammazzavamo!” avevano commentato, intercettati, gli altri due tra loro. Difficile capire perché avessero scelto di lanciare le bottiglie, nonostante quello fosse in casa. Ma la cosa più curiosa è che uno dei tre ha raccontato di aver fatto un sopralluogo nella stessa mattina, mentre l’imprenditore, nascosto tra gli alberi, lo aveva visto e si erano pure salutati.

Insomma, alla fine uno dei tre racconta di aver incontrato Gaspare Como al bar per un resoconto: “Gli ho detto che ci siamo andati a buttare quattro bottiglie, là … Dice ‘ha preso fuoco niente?’ Gli ho detto “E che minchia ne so’”.

Ecco, difficile non pensare al film “La leggenda di Al, John & Jack” con Aldo Giovanni e Giacomo.

E ancora più difficile interpretare questa intimidazione di oggi come la ricerca di nuovi equilibri mafiosi.

 

Oltre a Leonardo Milazzo, gli altri due erano Giuseppe Tilotta (condannato a 11 anni e 2 mesi) e Giuseppe Paolo Bongiorno (condannato a 7 anni e 2 mesi), tutti arrestati nella stessa operazione Annozero.

Dalle carte di quell’indagine, emerge che è lo stesso equilibrio tra loro che finisce per rompersi. E non per questioni di mafia, ma di donne. Una faccenda privata, che di mafioso sembra non avere nulla, avrebbe portato già nel 2015 il Bongiorno a squarciare le gomme dell’auto del Milazzo, col benestare del Tilotta, considerato dagli inquirenti diretta promanazione di Gaspare Como (che però nella vicenda privata tra i due non c’entra nulla).

 

E dopo avergli tagliato le gomme con un coltello, come scrivono gli investigatori, due giorni dopo Bongiorno avrebbe manifestato nei confronti del Milazzo dei propositi omicidiari: “Figlio di puttana… - dice intercettato – mi ha fatto una cosa che durante la vita non potrò mai più dimenticare…” e ancora “Minchia, c’ha mettere chiummate (colpi d’arma da fuoco, ndr)”.

In campagna da lui – aggiunge – appena arriva che gli dà da mangiare ai cani… neanche mi faccio vedere…” … “per ora ho presente come dovrei fare: me ne vado lì… Mi abbasso sotto il muretto... coricato... che ci sono le fratte... appena lui scende dalla macchina... tum tum”.

Insomma, un odio ormai viscerale: “Devo ammazzarlo, zù Pè... devo sparagli vero... ti sembra che scherzo...”.

E se l’avessero beccato e arrestato?

“…Ormai con le leggi che ci sono ora… a 10 anni sono fuori… quando mi vedono nel paese si devono cantiare… tutta la sua razza… tanto ho 27 anni… e a 37 sono già fuori…”.

 

Certo, queste vicende riguardano il passato. Cose di dieci anni fa, forse ormai sbiadite. Una realtà arcaica che, chissà, potrebbe esistere ancora oggi, magari con personaggi e spinte motivazionali differenti. In ogni caso, risulta davvero difficile interpretare l’intimidazione di qualche giorno fa come l’effetto di una mafia che si trasforma dopo la morte di Matteo Messina Denaro.

 

Egidio Morici