Qui bisogna puntualizzare, dare a Colapesce (colui che secondo il mito, sostiene il peso dell’intera Sicilia) quel che è di Colapesce. Perché la notizia non è che in Sicilia è stato sospeso l’assessore all’agricoltura e vice presidente della Regione, Luca Sammartino, per voto di scambio e corruzione. Così son bravi tutti. In Italia, da questo punto di vista, sembra che ci sia al momento un’indagine al giorno.
La notizia è un altra. È stato sospeso dalla sua carica Luca Sammartino, assessore della Lega e azionista di riferimento di Matteo Salvini in Sicilia, per un’indagine per voto di scambio che riguarda i tempi in cui era nel Partito democratico, dove era approdato, tra i mugugni della cosiddetta “base”, dopo essere sceso in campo ed essere stato eletto con l’Udc di Totò Cuffaro. Ma, facendo due calcoli, l’indagine è partita in realtà quando lui faceva parte del partito autonomista siciliano “Articolo 4”, nella coalizione di centrosinistra dell’allora governatore Rosario Crocetta, prima di entrare in Italia Viva, salvo poi passare appunto con Salvini. Vedete com’è diversa, così, la storia?
Bisogna raccontarle bene le cose. Perché qui siamo in Sicilia, e tutto diventa barocco, certo, ma la vicenda di Sammartino, vista da questo punto di vista, assume tutto un altro sapore. Ci racconta molto di come funzionano il potere e le elezioni, e di come, ormai, i signori delle preferenze, si spostino da una coalizione all’altra, da un partito all’altro, senza nessun tipo di elaborazione critica e con tanta velocità che non c’è neanche gusto a fare i titoli dei giornali: «Indagato assessore della Lega». Non è proprio così.
Ai tempi, dell’indagine, era nel Pd. Ma non è neanche corretto scriverlo, perché poi si innamorò perdutamente di Matteo Renzi e lo seguì dentro la nuova creatura, Italia Viva, e poi divenne una spina nel fianco del centrodestra, e oggi è vice presidente del governo più di destra della storia della Sicilia, a rappresentare, si, oggi, la Lega e Salvini. Oggi, però, domani chissà.
Come mai a Luca Sammartino, dentista di nemmeno quaranta anni, appartenente a una famiglia catanese molto attiva nella sanità privata (l’unico ramo dell’imprenditoria, in Sicilia, che conta davvero), sia permesso questo giro di tutte le chiese e le confessioni con disinvoltura e senza chiedere conto, lo si capisce da un numero: trentaduemila. Sono le preferenze individuali che prese nel 2017, quando si candidò a deputato regionale con il Pd. Trentaduemila persone scrissero il suo nome sulla scheda elettorale. Nessuno ha mai fatto meglio. Detiene il record assoluto.
E poi c’è il prendi due paghi uno del supermercato della politica. Perché Sammartino rappresenta anche gli interessi della moglie, Valeria Sudano, classe 1975, anche lei campionessa di preferenze, oggi deputata della Lega (zio senatore della Democrazia cristiana, papà assessore con Nello Musumeci, e anche lei prima Udc, Pd, etc).
In pratica è l’evoluzione di quello che una volta, quando eravamo ingenui, chiamavamo trasformismo, e che i partiti, in Sicilia come altrove, hanno legittimato in questi anni, facendone consuetudine leggiadra e irresponsabile, perché sanno, a Roma, che acchiappare i signori delle preferenze è l’unica cosa che davvero conti per aprire le porte delle stanze del potere, a Palermo come a Bari, costi quel che costi.
Sono loro a comandare, questi signori nomadi, che passano dal Pd a Forza Italia, dall’Udc alla Lega determinando chi vince alle elezioni. E ridono di gusto quando vedono nei talk show della politica in tv i leader commentare i «flussi elettorali», «gli elettori che hanno riconosciuto il valore del nostro programma», quando vincono. Ma quali programmi, quali flussi, quali intenzioni di voto. Decidono tutto loro.
E poi c’è il tocco di poesia, che questa vicenda siciliana mette in scena. Perché l’enfant prodige della politica siciliana viene indagato, adesso, per i voti sporchi che lui ha cercato non per sé, ma per la candidata che sosteneva alle ultime elezioni europee, nel Pd, cinque anni fa, nel 2019. E chi era? Caterina Chinnici: l’attuale eurodeputata, figlia del magistrato Rocco, il papà del pool del maxi-processo, ucciso dalla mafia con un’autobomba in centro a Palermo.
Era lei la destinataria dei (presunti, chiariamolo) patti corruttivi all’ombra dei clan. In soldoni: la mafia è coinvolta in un’inchiesta per voto di scambio, con il vice presidente della Regione che brigava per fare eleggere la figlia di un magistrato vittima della mafia. Sembra Luigi Pirandello. O Franz Kafka. Oppure no, sembra la trama di un possibile nuovo film di Ficarra & Picone.
Chinnici era all’oscuro di tutto. E non sapeva che Sammartino, per aiutarla, ha favorito ad esempio un politico locale di Tremestieri Etneo, in provincia di Catania: lui gli portava dei voti per Chinnici, e Sammartino avrebbe impedito l’apertura di una farmacia concorrente. Per fare votare l’icona antimafia Sammartino non si è risparmiato e i risultati si sono visti: Chinnici è stata eletta, ventiquattromila voti li ha presi in provincia di Catania, ottocentocinquantuno a Tremestieri Etneo.
«La Chinnici salirà a bomba», veniva rassicurato Sammartino alla vigilia di quel voto, chissà con quanta involontaria ironia. E il giovin politico, allora cavallo di punta del Pd, cercava di dare anche una cornice ideologica, dicendo che era il momento di dire basta «ai leghisti che vengono a raccontare a noi siciliani come funziona il mondo». Adesso magari glielo racconta lui, dato che nel frattempo, Sammartino è approdato alla Lega, arrivando a Matteo Salvini, dopo una love story con un altro Matteo, Renzi.
E Chinnici? Lei resta nei dem. Il Pd la candida anzi alla presidenza della Sicilia contro l’armata del centrodestra di Renato Schifani, nel 2022. Lei chiede ai partiti che la sostengono di non candidare «impresentabili» nelle liste. Perde contro Schifani. Che nomina proprio Sammartino suo vice. Ma poi anche Chinnici, gira i tacchi e approda in Forza Italia dove sarà candidata per le prossime Europee di giugno.
Lui, Sammartino, si dice sereno. È passato indenne da altre inchieste per corruzione elettorali (ma mai nessuna condanna) e da quando, neanche trentenne, faceva incetta di voti a tutte le elezioni, ne ha viste di tutti i colori. Lascia in asso il suo ultimo gioco di prestigio, che stava mettendo in atto in queste ore: la candidatura pare proprio di Totò Cuffaro, abbandonato anche da Renzi, proprio con la Lega di Salvini, alle Europee.
Al ritorno dal Vinitaly, dove ha rappresentato in questi giorni la Sicilia, doveva avere gli incontri decisivi. Ha trovato invece i Carabinieri a notificargli la sospensione per un anno da tutti gli incarichi pubblici. Ma per un signore delle preferenze che si ferma un giro, state tranquilli, altri si metteranno di nuovo in gioco, rimescolando correnti e alleanze, decidendo l’affermazione o la caduta dei leader, in maniera sempre più vorticosa, come i mulinelli dello Stretto di Messina, sul cui fondale, ignaro, regge il peso della Sicilia e di tutto questo il povero Colapesce.