Trapani, i veleni in Procura e il caso Germanà: "Ecco perchè mi mandarono via"
Però che anni, quegli anni. A cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, Trapani era investita da una doppia guerra: quella contro la criminalità organizzata, e quella all’interno delle istituzioni. Si contavano i morti per strada, eravamo alla vigilia delle grandi stragi di mafia (decise e pianificate proprio in provincia di Trapani), venivano scoperte logge segrete, e i magistrati si accusavano l’un l’altro delle peggiori nefandezze.
E’ in quel contesto che si inseriscono le denunce dell’imprenditore Andrea Bulgarella, oggi tornate di attualità alla luce del suo ultimo esposto del quale abbiamo raccontato su Tp24. Sulla cornice di quegli anni abbiamo intervistato due tra gli investigatori che più si occuparono dei fatti di mafia in quel periodo, il colonnello Dell’Anna, che fu al Comando provinciale dei Carabinieri, e il maresciallo Santomauro, per ben trent’anni nel nucleo investigativo dei Carabinieri di Trapani. E dentro la polizia cosa avveniva? Chi indagava? Qui la storia si fa ancora più interessante, e si intreccia molto con le denunce di Bulgarella, e, involontariamente (ma chissà quanto involontariamente …) anche con il suo nome.
Va detto che la Procura di Trapani ha avuto raramente momenti di pace. Negli anni è stata caratterizzata da veleni, lotte intestine e scandali. Nel 1984 c’è a Trapani il primo caso di un magistrato arrestato in Italia per corruzione, il giudice Antonio Costa.
La vicenda di Costa andrebbe approfondita non fosse altro che perché quest’anno ricorre il 40° anno di quell’arresto. L’anno prima, il 25 Gennaio 1983, era stato assassinato un suo collega, Giangiacomo Ciaccio Montalto. Il 6 Agosto dell’84, invece, il mandato d’arresto di Costa, per corruzione e porto abusivo d’armi. Era sospettato di aver preso soldi dai Minore in cambio dell'ammorbidimento di una sentenza. Quando il Csm prende atto del caso Costa, dopo il suo arresto, i giudici dell’organo di autogoverno della magistratura annotano che le voci sul magistrato erano ricorrenti anche già dalla sua precedente esperienza di pretore a Castellammare del Golfo, ma nessuno aveva informato le autorità, tanto da essere nominato poi sostituto a Trapani senza che nessuno obiettasse alcunché, nel 1981. Sono tanti gli esposti, rigorosamente anonimi, che arrivano in tribunale, al Csm, su Costa: i suoi affari, quelli della moglie, la villa e il motoscafo, certe amicizie.
Ma facciamo un balzo avanti. E' nei primi anni ‘90 che si registra uno degli scontri più duri, che vede come protagonista un altro sostituto procuratore Francesco Taurisano. Un clima di sospetto che coinvolge anche Rino Germanà.
Germanà, grande investigatore antimafia, una lunga carriera conclusa come questore di Piacenza, conosce bene personaggi del calibro di Matteo Messina Denaro, non solo per aver indagato su di lui, ma perché il boss, assieme ad altri due mafiosi di primo piano, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano, tentò di ucciderlo. Era il 14 settembre 1992, sul lungomare “Fata Morgana” di Mazara del Vallo, il commando di “cosa nostra” gli sparò più volte coi kalashnikov. Doveva essere un ulteriore delitto eccellente di quell’anno terribile, era il terzo della lista dopo Giovanni Falcone e Paolo Borselllino, coi quali Germanà aveva lavorato strettamente e ancora lo faceva, soprattutto sull’intreccio mafia-politica- affari. Indagini delicatissime che dovevano essere bloccate. Così per ucciderlo scesero in campo ben tre boss. Lui rispose al fuoco, si tuffò in mare, i mafiosi continuarono a sparare tra i bagnanti, Germanà fu ferito ma si salvò.
Ma qui è bene concentrarsi su quello che avvenne prima dell’attentato. Cominciando da una domanda: ma che ci fa un super poliziotto come Germanà, capo della Squadra Mobile di Trapani dal 1985, dirottato invece nell’ufficio periferico di Mazara del Vallo?
Germana, da investigatore di punta, fa indagini su tutta la mafia trapanese. E’ uno dei primi ad indagare sulla famiglia Messina Denaro, stende dei rapporti che poi saranno alla base di una serie di operazioni antimafia, che verranno chiamate, in suo onore, “RINO”. Con metodi pratici, sperimentati sul campo, in un’epoca in cui i mezzi sono pochi e bisogna arrangiarsi, è autore della relazione sui rapporti tra mafia e banche ed in particolare Banca Sicula.
Eppure, ad un certo punto, viene spostato dalla Squadra Mobile alla direzione del commissariato di polizia di Mazara del Vallo. “Non mi pare una cosa bella” è il commento di Paolo Borsellino, allora Procuratore a Marsala, appresa la notizia.
Il motivo per cui Rino Germanà viene tolto dalla Squadra Mobile di Trapani, il commissario lo scoprirà dieci anni dopo, come racconta lui stesso in un’audizione alla commissione antimafia:“Leggendo il mio fascicolo personale ho scoperto che sono stato mandato via perché dalla Procura di Trapani, nella persona del dottor Francesco Taurisano, sostituto procuratore, si diceva che non era stata condotta un’indagine seria sul sistema bancario trapanese. Io venivo dipinto come un funzionario che non si era mai interessato di queste cose, come se fossi stato amico dei mafiosi”. Certo, deve essere stata una grande amarezza per Rino Germanà: scampare per miracolo ad un attentato compiuto da mafiosi del calibro di Messina Denaro e Bagarella, per poi scoprire, anni dopo, che all’interno della Procura qualcuno lo considerava addirittura “amico dei mafiosi”. L’accusa sa ancora più di beffa perché Germanà è proprio l’autore del rapporto sulla Banca Sicula. Germanà parlò in alcuni rapporti di polizia di una sorta di fonte mafiosa rispetto ad alcuni mezzi finanziari della Banca sicula. La Banca Sicula di Trapani, lo ricordiamo, è stata una banca italiana privata. È stata ceduta nel 1991 e incorporata nel 1994 nella Banca Commerciale Italiana (oggi Intesa Sanpaolo).
E’ il Dicembre 1990 quando il giudice Taurisano, invia una lettera proprio al Capo della Polizia di allora, ed al Ministero dell’Interno, per lamentarsi della polizia, secondo lui addirittura infestata dalla criminalità organizzata, e sottolineando che, la presenza di molti sportelli bancari in provincia, non era stata ancora oggetto “di un articolato e serio disegno investigativo”. E dà la colpa, testuale, a dei “nodi cancerosi”, che impedivano “una sana seria efficace operazione di polizia giudiziaria”.
E’ l’inizio della delegittimazione di Rino Germanà. Nel Febbraio del 1991 Taurisano, insieme al sostituto Messana, ne chiesero l'allontanamento, evidenziando che se ciò non fosse avvenuto sarebbero stati costretti ad indagare Rino Germanà per collusione con la mafia...
In un appunto apocrifo allegato alla richiesta, si citano alcune condotte di Germanà. Tra queste c’è anche il fatto che un agente in servizio alla Squadra Mobile, Bruno, aveva un fratello che era l’autista dell’imprenditore Bulgarella “ritenuto essere noto boss mafioso”.
Ma quando mai, replicherà anni dopo Germanà: “Il Bulgarella citato è diverso dai famigerati Bulgarella, implicati nella corruzione del giudice Costa…”. Insomma, una leggerezza incredibile. Taurisano poi dice che Germanà aveva preparato una richiesta di sorveglianza speciale per un ingegnere da dieci anni consulente della Procura di Trapani e da questa intepretata come un affronto.
Anche qua un clamoroso pasticcio: “L’ingegnere in realtà è architetto - chiarirà Germanà - e non fu destinatario di una richiesta di misura di prevenzione, ma venne fatto oggetto di approfondite investigazioni perché il genitore per sette anni era stato in società con la potente famiglia mafiosa dei Minore, e tale rilevante dato era stato doverosamente e lealmente riferito alla Procura, che invece ne sconosceva l’esistenza”.
Germanà verrà trasferito a Mazara. Lì, diventerà un obiettivo di Messina Denaro, con l’attentato che, come abbiamo raccontato, non riuscirà per puro caso.
E Taurisano? Sarà protagonista di una clamorosa guerra con il procuratore Antonino Coci (qui il verbale del Csm che analizza la vicenda). Coci andrà in pensione, Taurisano invece chiederà il trasferimento al tribunale civile di Roma. Il magistrato napoletano era molto critico nei confronti dei propri colleghi: parlava di indagini sparite, di fuga di notizie, di conflitti di interesse. Si concentrò molto sulle indagini su Calogero Mannino, che però nascevano dalle dichiarazioni di Rosario Spatola, poi dichiarato inattendibile. Andò in contrasto anche con i colleghi della vicina procura di Marsala. Ne nacquero polemiche a mai finire, visite della Commissione antimafia, invio di ispettori da parte dell'allora ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli, fino all'addio a Trapani.
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