Dimissioni. Si permetta il sarcasmo, da tempo si afferma che nel Belpaese l'ufficio di abdicazione è sempre chiuso.
Nelle scorse ore alla Camera dei Deputati si sono discusse due mozioni di sfiducia: una nei confronti del vicepresidente del Consiglio e ministro dei Trasporti Matteo Salvini, l’altra nei confronti della ministra del Turismo Daniela Santanchè. L'istanza sul segretario della Lega è stata promossa da Matteo Richetti, al quale si è associata l'opposizione ad eccezione di Italia Viva e + Europa. Si contesta a Salvini i rapporti tra la Lega e il partito di Vladimir Putin, Russia Unita, e alcune sue reiterate manifestazioni di vicinanza al regime di Putin, che sono ritenute lesive all'immagine dell'esecutivo e quindi della nazione. Santanchè, diversamente, è stata investita già nel luglio dell'anno scorso della richiesta di dimissioni per le diverse vicende giudiziarie che riguardano alcune società in cui lei è socia. Rispondendo in Parlamento dichiarò di non essere indagata. Poi si è scoperto da un verbale che "in data 2 marzo 2023 il Nucleo di Polizia Economico-finanziaria di Milano, in esecuzione del 'decreto di sequestro' e 'informazione di garanzia' emesso nell’ambito del procedimento penale sopra richiamato - Visibilia - si è recato presso i locali della società al fine di acquisire dettagli relativi agli stanziamenti per fatture da emettere e note credito da ricevere effettuati dalla società negli esercizi dal 2014 al 2019". La questione per entrambi è puramente politica, Salvini stima lo Zar, per il quale:"meglio mezzo Putin che due Mattarella" e non può giustificarsi che correva l'anno 2015, un anno prima Vladimir aveva invaso la Crimea, nel 2008 fu la volta della Georgia; dopo il conflitto, Mosca riconobbe l’indipendenza degli Stati fittizi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, inviando truppe permanenti per rafforzare la sua impronta militare nel Caucaso meridionale, tuttora presenti. L'altra ha mentito su se fosse indagata o meno. Poi la Garnero, ex in Santanchè, nel tempo ha chiesto dimissioni per tutti, a vario titolo: la Idem, Lamorgese, Conte, Azzolina, Tridico, Provenzano, Speranza. Il non plus ultra fu quando chiese le dimissioni per la ministra Boschi, perché suo padre era stato rinviato a giudizio.
Per la cronaca, è stato assolto. Adesso si è sotratta finanche al confronto, era assente a Montecitorio. Ovviamente, l'ufficio dimissioni era barricato, per evitare sorprese. Il voto è stato per appello nominale e palese, assicurandosi il "ferro dietro la porta".
Vittorio Alfieri