Se nella Pasqua del 2024 Gesù Cristo risorgesse dal mondo dei morti, si troverebbe catapultato in una riproposizione di quest’ultimo: infatti morte, distruzione, macerie e sofferenza dilagano nei territori che hanno fatto da sfondo alla sua vita e alle vicende bibliche.
Non è questa la sede per fare considerazioni geopolitiche, eppure è un dato oggettivo che quello che lo Stato di Israele sta mettendo in atto è un vero e proprio genocidio.
Tuttavia, spesso, specie nelle proteste di piazza e nei dibattiti sui social, le azioni di guerra israeliane vengono additate come “atti inumani” o ancora, “degni delle più reiette creature”, eppure è davvero così? Quanto è sensato e utile deumanizzare colui o coloro i quali mettono in atto azioni atroci? Va da sé che tale quesito potrebbe essere esteso a qualsiasi altro conflitto bellico o ai più efferati delitti commessi da assassini di qualsivoglia inclinazione.
Ebbene, la psicologia ci dice una cosa: l’essere umano, se non altro per la sua struttura neurale, è votato all’empatia, a sentire ciò che sente l’altro, a soffrire se l’altro soffre. Ma se ciò è vero com’è giustificabile la violenza dell’uomo sull’uomo?
Una risposta a tale quesito ce la fornisce indirettamente Adolf Eichmann, funzionario della Germania Nazista, specializzato nelle “questioni ebraiche” e reso celebre dalle dichiarazioni al Processo di Norimberga durante il quale si è definito: “grigio burocrate che eseguiva solamente gli ordini dei gerarchi importanti”. Ecco cosa possiamo dedurre dalle parole di Eichmann: ciò che permette di interrompere quei naturali processi empatici è la cultura. La cultura, con le sue regole, le sue ideologie, i suoi sistemi preordinati, le sue ragioni e il suo peculiare modo di dar senso alla realtà, permette di dividere il mondo in buoni e cattivi, in umani e, soprattutto, non umani, i quali meritano i peggiori mali.
Ed ecco che noi non possiamo permetterci di cascare nel medesimo tranello di semplificazione e visione dicotomica della realtà, dove o si è bianco o si è nero.
Comprendere non significa giustificare, comprendere significa apprezzare la complessità della realtà e delle ragioni che muovono le azioni, anche le più efferate, di chi è oggetto della nostra analisi. Solo così è possibile formulare un pensiero solido e realistico, solo così si può, con maggiore efficacia, combattere quelle che sono le dilaganti e tremende forme di violenza cui siamo costretti ad assistere anche in un periodo di Resurrezione.
Emaunele Cusumano