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29/03/2024 06:00:00

La rete di Messina Denaro. L'omertà di medici e operatori sanitari: nessuno si è fatto avanti

Nessun medico, nessun operatore sanitario si è fatto avanti in questi mesi. Nessuno, dopo l’arresto e la morte di Matteo Messina Denaro, ha bussato alla porta degli inquirenti fornendo informazioni utili alle indagini sui fiancheggiatori del boss.


Una totale omertà che, come scrive il Gip Alfredo Montalto nell’ordinanza di arresto degli ultimi tre fiancheggiatori, “avvolge come una nebbia fittissima tutto ciò che è esistito attorno alla sua figura, ai suoi contatti, ai suoi spostamenti ed alle relazioni che ha intrecciato nei lunghi anni di clandestinità”. Un’omertà “trasversale” che di fatto “ha precluso agli inquirenti di avere spontanee notizie anche all’apparenza insignificanti”. In sostanza “nessun medico, operatore sanitario, o anche semplice impiegato di segreteria che abbia avuto contatti con Matteo Messina Denaro (alias Andrea Bonafede) ha ritenuto di proporsi volontariamente per riferire ai magistrati o alla polizia giudiziaria di essersi occupato, a qualsiasi titolo, del latitante o comunque rivelare quanto appreso direttamente o anche solo indirettamente sulle cure prestate all’importante capomafia”. Anche dopo la sua morte, quindi, la figura di Messina Denaro è coperta da tanta omertà.
“In tale sconcertante contesto, tuttavia, le indagini approfondite svolte dal R.O.S. dei Carabinieri hanno consentito di far emergere gravissime complicità provenienti da quella cerchia di fedelissimi, diversa dal nucleo familiare dei Bonafede, che ha protetto il capo mafia, creandogli uno scudo di apparente normalità per consentirgli di vivere nel "suo" territorio e restare così al comando dell'associazione mafiosa” chiosa il Gip Alfredo Montalto nell’ordinanza.

Il boss stragista, ricercato per decenni, ha potuto usufruire di una sanità pubblica "efficientissima" grazie alla complicità di alcuni insospettabili, tra cui Cosimo Leone, tecnico radiologo dell’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo.
Leone, cognato dell'architetto Massimo Gentile, anche lui arrestato nei giorni scorsi, si sarebbe occupato di far fare una Tac urgente al capomafia, anticipandola più volte rispetto ai tempi standard. Il giorno dell'esame, inoltre, il tecnico chiese di cambiare turno per coincidere la sua presenza in ospedale con gli accertamenti diagnostici a cui il boss doveva sottoporsi.

Dalle indagini è emerso che Leone, durante il ricovero di Messina Denaro, avvenuto nel novembre 2020, gli consegnò un cellulare clandestinamente. Il boss, che all'epoca utilizzava documenti falsi, poté così comunicare con il suo fiancheggiatore Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che gli aveva prestato l'identità.

Leone era in costante contatto con Bonafede, aggiornandolo sullo stato di salute del boss. I due si sentivano decine di volte al giorno, soprattutto nei giorni in cui Messina Denaro era ricoverato. Le intercettazioni telefoniche e i tabulati telefonici hanno permesso agli investigatori di ricostruire i loro spostamenti e di delineare un sistema di favoreggiamento ben collaudato.

Matteo Messina Denaro, una volta scoperto il tumore, all'esito di una colonscopia effettuata a Marsala il 3 novembre 2020, riusciva a farsi visitare già il 6 novembre dal chirurgo Giacomo Urso dell'ospedale di Mazara del Vallo ed a ricoverarsi poi il 9 novembre 2020 presso il reparto di chirurgia di detto ospedale, per un intervento che certamente rivestiva carattere di particolare urgenza e delicatezza.


Le persone incaricate di supportare il latitante nella fase pre e postoperatoria dovevano essere di provata e totale affidabilità.
“Basti pensare che la degenza in reparto costringeva il capomafia a restare nello stesso posto (o meglio, letto) per diversi giorni con il rischio altissimo di essere scoperto o "venduto", in altre parole che la sua vera identità fosse accidentalmente svelata o divenisse un'informazione, di particolare valore, da far giungere (magari dietro il pagamento di denaro) agli organi investigativi per porre fine alla sua quasi trentennale clandestinità”.
Inoltre c’era anche il "rischio morte" per quel delicato intervento chirurgico, “evenienza che il latitante aveva sicuramente dovuto prendere in considerazione per adottare i relativi accorgimenti e programmare gli eventuali successivi passi, comprese le disposizioni "testamentarie", anche e soprattutto mafiose, che dovevano trovare immediata esecuzione in caso di morte, con un canale di comunicazione già organizzato che doveva evidentemente partire dall'interno della struttura e trovare pronta sponda all'esterno nel Bonafede ci. 69”. Si tratta dell’Andrea Bonafede omonimo dell’uomo che ha prestato l’identità al boss. Si è scoperto che Bonafede si era occupato degli spostamenti del boss e di tenere i contatti con Cosimo Leone.

 


Messina Denaro alias Andrea Bonafede ha potuto godere di corsie preferenziali e delle attenzioni di Cosimo Leone. Tant’è che la prima Tac era stata programmata inizialmente per il 20 novembre, poi anticipata al 17, infine fatta il 10 novembre 2020. Per quel giorno l’operatore sanitario si era fatto anche cambiare il turno per poter seguire il capomafia. Il boss è stato operato il 13 novembre e per gli investigatori Leone ha informato costantemente Bonafede. Al boss era stato fornito anche un telefono cellulare per comunicare con i suoi fedelissimi. Il 18 novembre Messina Denaro viene dimesso, e torna a Campobello di Mazara. Il 9 dicembre viene fissata una visita oncologica all’ospedale di Trapani, effettuata dal primario Filippo Zerilli, che venne indagato, anche se ha sempre detto di non sapere che quell’uomo fosse Matteo Messina Denaro.
Ma ciò che emerge in queste ultime indagini sono i silenzi di tutti gli operatori sanitari nei mesi successivi all’arresto e alla morte del boss.